di Teresa Carrubba
La tradizione gastronomica cortinese, essenziale e sobria, nasce da lontani innesti popolari, in un periodo in cui la vita alimentare era regolata dalle offerte della natura e degli allevamenti locali. Prima che il turismo trasformasse usi e costumi della splendida valle ampezzana, infatti, la donna non aveva granché tempo da dedicare ai manicaretti, visto che la terra, la stalla e la tessitura erano suo esclusivo “appannaggio”. Piatti semplici, dunque, per una cucina indirizzata al puro sostentamento, ma sani e solidi tanto da arrivare ai nostri giorni pur inframmezzati da ricette creative e da quelle di influenza sudtirolese o austriaca. Anche per quanto riguarda i dolci, nessuna stravaganza. Si cercava di utilizzare al massimo i frutti della natura per le merende, per i dopo pasto, per le occasioni speciali, spalmando miele su fette di pane imburrate o preparando dolci con i preziosi derivati del latte nelle varie fasi della lavorazione del burro o del formaggio. I“carafoi di zigar”, per esempio, sono tipiche frittelle arricchite dal gusto delicato del zigar, una sorta di ricotta ricavata dal siero di risulta della lavorazione del burro, la “nida”.
Tale latticello, lasciato maturare in un pentolone al tiepido, forma una ricottina che viene tirata su man mano che affiora e messa ad asciugare in sacchi di tela. Mescolato a farina, uova, burro e lievito, lo “zigar” insaporisce le ottime frittelle gonfiate in strutto bollente. Del resto i “carafoi” -una variante delle frappe di carnevale, per semplificare- sono sempre stati per la cucina ampezzana un simbolo di festeggiamenti e ricorrenze. Insieme alla “brazorà”, una treccia semidolce chiusa a ciambella e decorata con granella di zucchero, i “carafoi” erano considerati i dolci nuziali e lo sono ancora per le famiglie di tradizione montanara. “Carafoi” anche per i battesimi, il carnevale, le sagre paesane, le feste della semina e del raccolto e per i pic-nic di Pasqua insieme a uova sode e a un fiasco di vino. I “carafoi” ancora oggi vengono fritti nella “farsoira”, grande padella di ferro, colma di strutto bollente, ma certamente l’antico scoppiettio del “larin” -focolare in mattoni, spesso al centro della cucina- è stato soppiantato dalla più silenziosa ma anonima cucina economica.
Quando la produzione di burro esuberava e i panetti sformati dai bellissimi stampi dipinti a motivi montanari rischiavano di deperire, li si fondeva fino ad ottenerne un fluido dorato chiamato “murcia”, che veniva utilizzato nella preparazione di dolci rustici e sostanziosi. Tipici certi biscotti profumati alla cannella, in cui la “murcia” amalgama zucchero, uova e farina. Dalla seria tradizione di utilizzare tutto l’utilizzabile, nasce anche una soffice focaccia dal sapore delicato grazie a un insolito ingrediente, la “juscia”, cioè il colostro -il primo latte della mucca dopo il parto-. La focaccia di “juscia”, mangiata calda, esprime tutta la fragranza del burro e il gradevole gusto classico dell’uva passa. Caratteristici della cucina ampezzana, i “knodel”: sorta di gnocconi a base di pane raffermo, versatili e appetitosi, si trasformano anche in un curioso dessert da cena frugale, da unire al caffellatte. I “knodel” di prugne sono infatti una curiosa variante, anche se altrettanto sostanziosa, in cui il pane viene sostituito con le patate nella preparazione di palline farcite di prugne secche e rotolate in una salsa ben calda a base di burro, zucchero e pangrattato.
Le prugne, così come le mitiche mele e i numerosi tipi di frutti di bosco, entrano nella composizione di molte torte di sapore austriaco, multistrato, farcite di creme e gelatine profumate, e dello strudel, di stampo sudtirolese o ladino, nelle sue curiose varianti: dal classico strudel di mele arricchito da frutta secca -uva passa, pinoli, noci e mandorle- al più insolito con ricotta e prugne, tra i cui ghiotti ingredienti figurano marmellata di mirtilli, panna montata, mandorle, vaniglia e cannella, in uno scrigno di insolita pasta frolla fatta con fecola di patate, farina di mais e semolino. Gustoso anche lo strudel d’uva, con un ripieno di acini interi, nocciole, burro, grappa e pangrattato, servito con una salsa tiepida a base di mosto d’uva, tuorli d’uovo e zucchero. Il pangrattato, ricorrente nei dolci ampezzani -così come nelle preparazioni salate- fa parte di quegli elementi rustici che rivelano l’influenza mitteleuropea su certi piatti tipici. Lo stesso vale per la farina di mais che spesso sostituisce quella bianca e per altri cereali insoliti nella pasticceria.
E’ il caso del “Buchteln” al miglio che nasce appunto da un interessante impasto di farina gialla, miglio, uova, zucchero e burro, tagliato in friabili fagottini dal ripieno morbido a base di semi di papavero, mandorle e marmellata di albicocche. I “Buchteln” vanno serviti tiepidi con una salsa di marzapane -tipico dolciume tedesco-. Pangrattato per una variante della torta Linzer, un dolce speziato all’uso tedesco con cannella, noce moscata, chiodi di garofano, ben soffice di burro e di albumi montati a neve. E per i canederli dolci, lievitati, con un ripieno di semi di papavero, miele e marmellata di albicocche. Pane raffermo per un dolce povero, lo “zopes”, passato nell’uovo, fritto nel burro e cosparso di zucchero; pane nero inzuppato di vino bianco per una sorta di rustico soufflé arricchito di uvetta, cedro candito e cannella. Di fattura tirolese-austriaca anche i dolci fritti o preparati con lo strutto, come la torta di “frizes”, fatta con i ciccioli dello strutto, burro, uova e farina o le frittelle soffici come gli emblematici ”Krapfen” farciti di marmellata, i quali si prestano a numerose varianti tipo i “nighele”, più piccoli e senza ripieno, spolverizzati di zucchero a velo o cosparsi di semi di papavero e miele liquefatto.
Ancora frittelle, ma a forma di ciambella e ricche di uvetta, mandorle e grappa, sono le “kniekuchel” che si gustano con zabaione fluido e polpa di mirtilli. Tuttavia, della pasticceria cortinese fanno parte anche dolci più noti ai golosi d’altre regioni come la torta “Sacher” a base di finissimo cioccolato fondente e, della stessa famiglia, la torta della Selva Nera guarnita con abbondante panna montata. Non da meno, la delicata torta di carote in cui il gusto del vegetale si unisce in armonioso amalgama con quello delle mandorle e della farina gialla. Queste e altre delizie, con una tazza di cioccolata calda, caratterizzano piacevolmente i rigidi pomeriggi invernali, nell’intimità di un salotto o nella mondanità di un caffè alla moda nelle strade eleganti di Cortina d’Ampezzo. Una città che, nonostante le influenze dei paesi confinanti, mantiene fermi i capisaldi della cucina storica locale, semplice e austera. Grazie anche all’apporto culturale di studiosi delle tradizioni che si adoperano per non disperderle nel tempo.