Rivive fino all’8 maggio l’epopea dei “Guerrieri di Xi’an”
Una grande mostra al Centro Saint Bénin di Aosta a cura di
Enzo Di Martino
Testo di Michele De Luca
Fino all’8 maggio 2016 il Centro Saint Bénin di Aosta ospita la importante mostra “Sandro Chia. I Guerrieri di Xian”, curata da Enzo Di Martino, che illustra un particolare momento della ricerca espressiva di uno dei più significativi protagonisti dell’arte contemporanea. L’artista fiorentino presenta i “suoi” Guerrieri di Xi’an: vengono esposti nove grandi Guerrieri, un Cavallo e sei piccole Teste, sulle quali l’artista ha deposto il suo gesto pittorico, secondo un’operazione “picassiana”, tutta giocata su cromatismi inediti quanto efficacissimi, rivendicando l’esistenza di una nuova creazione artistica, arditamente ricondotta al presente. La rielaborazione in chiave contemporanea dei guerrieri dell’imperatore Shihuang, la cui sterminata, silenziosa armata di terracotta aveva sorpreso ed estasiato il mondo sin dal 1974, anno della fortuita scoperta avvenuta nei pressi di Xi’an, cittadina della Cina occidentale.
Nato a Firenze nel 1946, Sandro Chia è apparso sulla scena internazionale alla Biennale di Venezia del 1980 con il gruppo dei cinque artisti della Transavanguardia. Questa mostra si propone di consegnare ai visitatori una visione esaurientemente rappresentativa del suo complesso universo di immagini. L’artista fiorentino ha alle spalle una formazione artistica molto eterogenea. Nel 1969 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è entrato in contatto con le principali neoavanguardie europee e in seguito anche statunitensi; si trasferisce a Roma per un decennio e poi a New York per circa un ventennio. Sul finire degli anni Settanta, dopo varie esperienze di viaggio in Asia ed Europa, egli si convertirà al figurativismo e si inserirà naturalmente e automaticamente alla Transavanguardia, di cui è stato uno dei più importanti esponenti assieme a Francesco Clemente, Mimmo Paladino, Nicola De Maria e Enzo Cucchi.
Il movimento fondato dal critico Achille Bonito Oliva ha avuto il suo apice negli anni ottanta, per poi declinare progressivamente. La Transavanguardia italiana, nel percorso dei suoi protagonisti ha concretizzato, soprattutto nel primo quinquennio di attività, non soltanto l’esigenza diffusa di agire a partire dal contesto a cui si appartiene, ma anche la necessità di un operare non più collettivo, bensì individuale: non a caso i principali esponenti hanno mantenuto distinti i propri rispettivi percorsi. In questo “movimento”, mentre Paladino, ad esempio, non rispetta categorie di alcun genere, in una commistione di tecniche diverse, attraverso una figurazione stilizzata e un’astrazione simbolica; Cucchi coniuga, sulle orme di Licini, lo sforzo di bilanciare la tensione verso il simbolismo con l’attenzione al colore; Chia è tra i primi a ribadire la necessità di tornare al potere allegorico dell’opera e a riportare in auge la pittura in un momento in cui sembrava “scandaloso” lavorare con tavolozza e pennelli. La strana umanità di Chia – ha scritto Elena del Drago (Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, Mondadori Arte, 2008) - “si muove in ambienti straniati con una monumentalità che non ha nulla di classicista, ma è riportata alla realtà da atteggiamenti più che quotidiani”.
Presentando il bel catalogo edito da Papiro Art, che accompagna l’evento espositivo, scrive tra l’altro De Martino: “Chia ha così messo in atto, nel 2009, una decisione, certamente ambiziosa, formalmente rischiosa ed eroica allo stesso tempo, quella della “appropriazione formale”, all’interno del suo mondo immaginativo, di queste sculture millenarie, intervenendo su di esse con le sole “armi” che conosce bene e che gli sono congeniali, quelle della pittura, esponendo poi le sculture dipinte in una grande mostra – ammirata tra gli altri anche da Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura – allestita a Venezia nella cinquecentesca Scuola dei Mercanti, a fianco della maestosa Chiesa della Madonna dell’Orto”. L’artista ha evitato il possibile naufragio della tentazione per la “copia”, e invece, con un grande rispetto per l’opera preesistente, è intervenuto su queste figure non toccando la materia delle sculture, apportandovi invece un misurato contributo affidato solo al colore, pervenendo infine alla realizzazione di una sua nuova ed autonoma opera d’arte. Ha cioè determinato, con l’antico, anonimo e sconosciuto scultore cinese, una sorta di alleanza ideale, utile, pacifica e geniale, nel segno dell’arte.
Chia ribadisce, come ha scritto in catalogo Daria Jorioz, Dirigente delle Attività Espositive della Regione Autonoma Valle d’Aosta, che ha promosso e organizzato l’importante evento, “la centralità della pittura, lasciando alle sculture in terracotta il compito di attenersi alla figurazione, mentre assegna al colore e al gesto pittorico la libertà ultima e definitiva dell’espressione”. Le copie degli enigmatici soldati posti a guardia del mausoleo del grande Shihuang, morto nel 210 a.C. a soli 49 anni, diventano, reinventati da Chia, sintesi affascinante e originale di pittura e scultura, generata da sedimentazioni e stratificazioni di antichissime culture (mitiche e misteriose), e alimentata da un suo personalissimo approccio caratterizzato da un “nomadismo culturale” e da un eclettismo straordinariamente ricco, sorprendente e “spericolato”.
Sandro Chia
Come aggiunge Di Martino, bisogna avere ben presente questa “dualità di fonti di riferimento”: tenendo cioè conto, “da un lato della grande lezione storica della pittura italiana, fiorentina in particolare, dall’altro dei numerosi e coraggiosi azzardi formali, certamente disinibiti e in molti casi perfino formalmente eversivi, che l’arte statunitense ha manifestato nel secondo dopoguerra, da Jackson Pollock a Andy Warhol”. La mostra aostana documenta, certo, un momento particolare e straordinariamente fertile della ricerca espressiva dell’artista, ma riesce comunque a consegnare al pubblico una visione più completa, se non esaustiva, del suo poetico mondo poetico, ricco di fantasia e di sempre originali soluzioni estetiche.