Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Situato nell’estremo nord-occidentale dell’India, il Ladakh – chiamato anche Piccolo Tibet per le molteplici affinità con quest’ultimo – fa parte come regione autonoma dello stato del Jummu-Kashmir, uno dei territori più elevati e montuosi della terra stretto tra Pamir e Tibet. Grande un terzo dell’Italia ma assai poco popolato (meno di 2 abitanti per kmq), gravita con le sue vallate ad una quota superiore ai 4.000 m attorno all’alto corso dell’Indo, circondate dalle vette più alte del mondo appartenenti alle catene del Karakorum e dell’Himalaya, un mondo minerale brullo dove per l’aridità nevica relativamente poco e piove ancora meno, con paesaggi lunari e deserti d’alta quota regno del vento e del freddo, per giunta accessibile soltanto nei mesi estivi. La popolazione di ceppo tibetano pratica il buddismo lamaista e parla dialetti cino-tibetani, concentrata in 250 villaggi nelle verdi oasi di fondovalle oppure arroccati su ripidi costoni con campi a terrazzi irrigati da una rete di canali pensili che sfruttano l’acqua dei ghiacciai.
Si tratta di una misera economia di sussistenza, basata su una ridotta coltivazione e sull’allevamento di pecore, capre e yak; per non dover dividere case, terreni e mandrie si deve ancora oggi ricorrere alla pratica della poliandria, con un’unica donna sposata a più fratelli, e qualche figlio monaco. Forte l’immigrazione dal Tibet, soprattutto dopo la recente invasione cinese, tanto che oggi il Ladakh viene considerato la culla del buddismo tibetano anche grazie alla diffusa presenza di un gran numero di templi e di monasteri antichissimi, arroccati in posizioni scenografiche e dominanti, capaci di conservare all’interno preziosi capolavori d’arte. Proprio i monasteri, luoghi di preghiera, di meditazione, di formazione religiosa e culturale, rappresentano la maggior attrattiva per il turismo: nei loro cortili si svolgono infatti importanti feste religiose aperte ai fedeli e al pubblico, imperniate su danze cerimoniali, canti, processioni e rappresentazioni teatrali allegoriche con maschere e costumi coloratissimi, tra squilli di campanelle, clamore di cembali e il suono dei lunghi corni d’ottone, della durata anche di più giorni.
Oltre a templi e monasteri, altri segni tangibili della profonda religiosità di questo popolo sono costituiti dai chorten, piccoli santuari, dalle ruote e dalle bandiere di preghiera, dall’esposizione di grandi drappi sacri e dalle scritte votive sui sassi e sui muri, in un tripudio di colori e di spiritualità. Le difficoltà di accesso hanno storicamente preservato queste terre da invasioni e da contaminazioni da parte di altre culture, salvaguardando le antiche tradizioni. Nonostante il passaggio di antiche rotte carovaniere tra India, Tibet e Turkestan, le strade sono ancora pochissime, ardite e malconce, con passi a quote vertiginose: la principale arteria da Manali a Leh, considerata la più alta del mondo, corre stabilmente sopra i 4.000 m e con un passo a 5.200. Accessibile al turismo solo dal 1974, presenta ancora diverse zone interdette o accessibili soltanto con permessi speciali. Il Ladakh è anche famoso per il suo qualificato artigianato: pregiati gioielli tribali in filigrana d’argento con perle, giade, turchesi e rubini, preziosi dipinti su stoffe a tema religioso e, soprattutto, gli scialli di raffinata lana pashmina prodotta da capre selvatiche a pelo lungo e tessuti a mano dagli uomini.
Il percorso migliore per raggiungere il Ladakh da Delhi passa da Amristar, capoluogo del Punjab e patria dell’etnia sikh (visita d’obbligo al Tempio d’Oro, luogo sacro dei Sikh), da Dharamsala, oggi sede del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio, e da Manali nell’Himachal Pradesh, elegante stazione di villeggiatura a 2.000 m con un bel tempio indù a pagoda. A questo punto inizia il lungo e tortuoso viaggio attraverso le spettacolari vallate himalayane del Ladakh, tra boschi, prati, cime innevate, ghiacciai e passi situati a 4 e 5 mila metri di quota per entrare nella verde valle dell’Indo e raggiungere il capoluogo Leh, a 3.650 m, importante tappa lungo l’antica via della seta. Leh offre numerosi templi e monasteri, ma il monumento più significativo è costituito dall’incombente palazzo reale alto 9 piani, molto simile al celebre Potala di Lhasa. Nei dintorni si trova un numero spropositato di monasteri, tutti meritevoli di essere visitati: Hemis celebre per il suo fastoso festival estivo, Tiksey uno dei maggiori, Lamayuru edificato nel XI sec. dalla setta dei “berretti gialli”, Rizong isolato in una profonda gola e che ospita anche monache, Alchi risalente al 1000 e custode di importanti tesori artistici, Likir in posizione scenografica su uno sperone roccioso e guidato dal fratello del Dalai Lama. Percorrendo la carrozzabile più alta del mondo, con un passo a 5.603 m e panorami mozzafiato sulle vette del Karakorum alte fino a 7.200 m si entra nell’isolatissima valle di Nubra, un vero arido deserto d’alta quota, per visitare sperduti villaggi e monasteri, tra cui quello antichissimo di Dishket circondato da dune di sabbia di tipo sahariano tra le quali pascolano irsuti cammelli a due gobbe. Sulla via del ritorno sosta di un giorno a Delhi per la visita della capitale.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in viaggi culturali di scoperta in aree poco frequentate e specialista sull’India, nel proprio catalogo “Alla scoperta dell’insolito” propone un itinerario di 14 giorni interamente dedicato al Ladakh. Partenze individuali settimanali e mensili di gruppo da giugno a settembre 2013 con voli di linea Lufthansa da Milano e Roma, pernottamenti in hotel a 4 e 5 stelle e nei migliori esistenti con 4 notti in campi tendati in pensione completa, accompagnatore dall’Italia.