Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Per i visitatori occidentali la Cina si presenta come un paese dai mille volti e dai mille aspetti, dovuti alle sue smisurate dimensioni (grande ben 32 volte l’Italia e quasi quanto l’intera Europa, ma con il doppio della popolazione) nonché alla sua estrema varietà ambientale, geografica e umana, tanto da sembrare più un continente che una semplice nazione. Per tentare di scoprire e di capire alcuni di questi aspetti è meglio evitare le grandi metropoli e le mete turistiche tradizionali, puntando piuttosto su regioni un po’ più defilate, capaci di offrire un volto originale e genuino, non ancora massificato dalla globalizzazione e alterato dal modernismo forzato. Come nel caso delle isolate province montuose dell’Ovest, per l’esattezza Sichuan, Qinghai e Gansu, estremamente varie dal punto di vista ambientale, ricche di testimonianze storiche e religiose soprattutto buddiste e abitate da un crogiolo di etnie diverse, ciascuna con il proprio variegato bagaglio di lingue, culture, costumi e tradizioni, decisamente diverse dal resto del paese.
Il Sichuan, grande una volta e mezzo l’Italia ma con 90 milioni di abitanti appartenenti a ben 53 etnie differenti, presenta due volti decisamente opposti: ad oriente fertili colline terrazzate ben irrigate in grado di consentire due-tre raccolti l’anno ad ospitare una delle più fitte popolazioni rurali del mondo (densità di 620 abitanti/kmq), considerato il granaio celeste per il primato di produzione agricola di riso, grano e soia, mentre la parte occidentale, estremo contrafforte del massiccio himalayano e dell’altopiano tibetano, offre foreste e brulle praterie a 3-4.000 m adatte solo alla pastorizia e alla raccolta di erbe medicinali, abitate da rari pastori seminomadi tibetani. Si tratta della provincia più ricca (oltre all’agricoltura vanta ingenti risorse minerarie), più popolosa e anche la più cinese, grazie all’isolamento prodotto dalla corona di montagne circostanti. Qui il te verde, originario di queste contrade e usato fin da tempi assai lontani, cede il passo al te al burro, il buddismo ha il sopravvento sul confucianesimo e le colline si trasformano in scoscese montagne ammantate di neve.
La conformazione montuosa, con vette capaci di superare i 7.000 m, i fiumi possenti e impetuosi e l’erto altipiano tibetano ne hanno da sempre fatto una regione isolata, tanto che il grande poeta nazionale Li Bai ha scritto che la strada per il Sichuan è più impervia di quella per il cielo. E le strade che portano al Tibet sono tra le più alte, accidentate e pericolose, ma anche tra le più suggestive al mondo. Eppure questa terra remota, famosa per la sua cucina piccante grazie al massiccio uso di pepe e peperoncino e per essere la patria di Deng Xiaoping, nel III sec. a.C. fu il centro dello stato di Qin, dal quale prese l’avvio l’unificazione della Cina in un unico impero, e sempre qui nel 1975 si sviluppò la rivoluzionaria idea, poi applicata in tutto il paese e anche nel settore industriale per i notevoli risultati conseguiti, di assegnare i terreni da coltivare non più a cooperative ma a singoli agricoltori. Nell’ovest è ancora possibile assistere agli impressionanti funerali all’aperto, dove i corpi smembrati dei defunti vengono offerti in pasto ai rapaci avvoltoi, atto di estrema generosità ecologica in una zona dove manca la legna e il terreno è ghiacciato. Da ricordare infine che le alte foreste di bambù del Sichuan costituiscono l’ultimo rifugio per il panda gigante, il simpatico orso bianco-nero minacciato di estinzione divenuto l’emblema della Cina e del protezionismo ambientale in tutto il mondo.
Il Kham è invece una vasta regione di cultura tibetana, storicamente conteso e dominato alternativamente da tibetani e cinesi (con incursioni significative anche di mongoli e inglesi), che dopo l’occupazione cinese del 1950 è stato smembrato e accorpato a diverse province confinanti, oggetto di guerriglia e di resistenza locale e inaccessibile fino a pochi anni fa. Si tratta di un labirinto di valli tra imponenti catene montuose, dalle quali nascono quattro dei maggiori fiumi cinesi (Fiume Azzurro, Mekong, Yalong e Salween) intersecate da profonde gole e da sconfinate praterie d’alta quota, abitate da pastori nomadi Kampa, appartenenti a 14 diversi gruppi etnici con lingue e culture proprie, che a cavallo pascolano mandrie di yak e capre abitando nelle loro sperdute tende di lana nera. I Kampa affascinano con i loro preziosi abiti di broccati decorati con originali gioielli in argento ed elaborate acconciature, e sono famosi per il loro radicato senso religioso, le cerimonie e i festival a base di musiche e danze tradizionali in costume, con maschere rituali. L’aspro territorio risulta infatti disseminato da un’enorme quantità di gompa, monasteri, lamerie e templi buddisti dalla peculiare architettura, dove si conservano preziosi tesori storici e artistici. In passato da qui transitava la Via del Te, percorsa da carovane composte anche da duemila yak che portavano le preziose foglioline dal Sichuan a Lhasa. Un itinerario attraverso Sichiuan e Kham, territori sconosciuti al turismo di massa, assieme a straordinari paesaggi montani offre una profonda immersione nella spiritualità buddista, partendo dall’imprescindibile appendice del centro di riproduzione del panda maggiore a Chengdu.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in percorsi di scoperta a valenza ambientale e etnografica negli angoli più remoti del pianeta, propone come novità un itinerario di 15 giorni tra Sichuan e Cham. Uniche partenze di gruppo con voli di linea da Milano e Roma il 10 luglio e 7 agosto 2013, pernottamenti nelle migliori sistemazioni alberghiere possibili con pensione completa, accompagnatore dall’Italia.