GIUSEPPE GARBARINO
E? opinione diffusa e concorde ammissione che chi si occupa di recensire libri legga l?introduzione, il primo capitolo, sfoglia velocemente le pagine facendo cadere l?occhio ora su un capoverso, poi su un finale di pagina. Obbligatorio l?ultimo capitolo!
E come fare altrimenti per chi deve recensire un libro al giorno! Per quello che mi riguarda i libri si leggono tutti, fino all?ultima pagina e meno di non incontrare, cosa difficile per quanto mi riguarda, in sonnolenti anteporsi di parole e concetti.
E? uscito un libro che ho letto tutto di un fiato, cercando di anticipare con l?immaginazione le pagine successive, forse con troppo enfasi, ma non poteva essere altrimenti. Questo è confermato dalle vendite e dall?attenzione che i lettori hanno per i libri postumi.
La risposta del pubblico non è stata diversa per il libro di Oriana Fallaci, il suo ?Un cappello pieno di ciliegie? ricorda tempi lontani e forse questa mia ostinata velocità nel leggerlo non poteva essere altrimenti, visti i legami tra la mia famiglia e quella dei Fallaci.
Simbolo di questi legami è una statua di marmo che raffigura una bambina con i riccioli, credo realizzata forse da uno zio scultore della grande giornalista, sulla base della quale da sempre è scritto ?Oriana Fallaci?.
Era mio nonno Cherubino, personaggio con un nome di altri tempi, che utilizzava la bravura di Edoardo Fallaci per ottimi lavori di falegnameria, anzi di ebanisteria, vista la levatura dei risultati che otteneva.
Ora nel suo cappello di ciliegie Oriana Fallaci ricorda tutti, partendo da lontano e in un certo senso ricordando anche se stessa in una celebrazione forte e significativa degli antenati, quasi riscoprendo quell?antico culto dei morti e del loro ricordo.
Leggendo il suo scritto postumo, quello interrotto per lasciare spazio all?urlo di dolore per la nostra civiltà occidentale agonizzante e ferita, Oriana incontra personaggi e fatti che sembrano i perfetti predecessori e plasmatori del suo carattere.
Per molti critici il libro si apre con un errore grammaticale, e sul web quel titolo con la scritta ?ciliege? invece di ?ciliegie? sta creando un piccolo scandalo editoriale. Errore? Forse non più di tanto perché la Fallaci tra i suoi antenati ha proprio certi ?Ciliegioli? e credo, considerando il personaggio che il piccolo refuso sia intenzionale e che il cappello contenga le ?ciliege?, una manciata di arcavoli e che quindi l?errore sia voluto.
Ecco che Oriana Fallaci ci apre tutto il suo più intimo mondo parlando dei suoi ?vecchi?, parla un po? di se stessa, quasi a volersi sostituire e voler vivere le stesse emozioni e le storie lontane, lei che di eventi ne ha vissuti tanti in prima persona.
Oriana Fallaci ha attraversato il ?900 e ora ci parla di altri secoli e altre persone, tutte strettamente legate con gli eventi che avevano intorno, tanto che l?inizio del suo libro la prima frase è secondo me un capolavoro che deve aver pensato la notte, poco prima di addormentarsi e di essersi alzata di corsa per scriverla e non perderla nelle tenebre.
Personaggi da fiction come direbbe oggi qualcuno, personaggi della storia sottolineo io e saltellando dall?avo che doveva partire con Mazzei per l?America, alla spagnola che si sposò con la sua acconciatura pittoresca, scorriamo le righe incontrando tutti quei nomi che abbiamo conosciuto da ragazzi nei libri di scuola.
Non è facile divorare le oltre 800 pagine di fitta prosa del libro, una ?saga?, come ha scritto la Fallaci di suo pugno sulla copertina del dattiloscritto originale, a momenti la lettura sembra non scorrere, ma non poteva essere altrimenti e tutti dobbiamo ricordare che la Fallaci non ha avuto modo di rivedere questo suo ultimo scritto e soprattutto completarlo con i personaggi a lei più vicini.
I nomi diventano familiari e sembra di vederne le immagini nei poveri cenci dei contadini di Panzano con quel Luca e Apollonia Fallaci che sembrano uscire da un?incisione di Albrecht Dürer o da una citazione di Tomás de Torquemada, tanto era il loro vivere da ferventi terziari francescani.
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E che dire di Giovanni, travolto, sbatacchiato e rigirato dal turbine delle guerre napoleoniche, ma anche in lui quel filologismo che tiene insieme il racconto, quel continuo incontro con arcavoli e arcavole e la sempre presente domanda: perché siamo nati?
Il romanzo sembra confondere i cromosomi che si incontrano ad ogni passaggio di generazione e in tutti i personaggi, ma alla fine il quadro è completo e chiaro e anche la nostra Oriana trova le sue risposte, dopo essersi raccontata la storia della sua famiglia, parlato delle pene e delle gioie che hanno attraversato la sua esistenza fin da bambina in quell?intreccio di destini ribelli.
Inutile parlare di altri personaggi, il libro ti accoglie e ti prende prigioniero, facendoti volare lontano e vedere le cose con gli occhi ormai chiusi per l?eternità della grande scrittrice e giornalista fiorentina.Lo stile secco che non vuole contradditorio è tipico della Fallaci, con le sue affermazioni e convinzioni, quasi a prendere alla lettera quel Curzio Malaparte e il suo ?Maledetti Toscani?. A suo modo anche Oriana era una maledetta toscana e in questo libro sembra perdersi anni luce dai suoi precedenti romanzi, non per lo stile ma per il contenuto.
Ma la Fallaci in vita aveva gli occhi ben aperti e nella sua storia di famiglia incontriamo il mondo di tante famiglie italiane, di tanti avventurieri nostrani di persone catturate dagli eventi e plasmate dalla responsabilità di generare una progenie da parte dei propri avi.
E? quasi una sorta di celebrazione del detto ?italiani, popolo di santi, poeti e navigatori?, anche se in chiave minore. Malaparte si accontentava di essere pratese, forse la Fallaci di essere fiorentina.
Un unico cruccio emerge qua e la nella storia, la mancanza di discendenza diretta e una ricerca a ritroso bloccata dai topi che hanno divorato l?archivio della parrocchia di Panzano.
Anche i lettori avvertono una mancanza, la storia della famiglia Fallaci nel ?900!