EMMA VISCOMI
Al centro della laguna dello Stagnone, compresa tra Capo Boeo, l?estrema punta nord-occidentale siciliana e di fronte all?isola di Favignana, si trovano quattro isole: Grande, Schola, Santa Maria e Mozia, la più interessante dal punto di vista archeologico, conosciuta anche come San Pantaleo.
Al tempo in cui il Mediterraneo non aveva segreti per i popoli del mare, i Fenici (dal greco phoinix, cioè rosso, porpora nel caso specifico, colore ottenuto dai molluschi muricidi, per la tintura di pelle e tessuti), pensarono bene di fondare su di essa una colonia, approfittando dell?ottima posizione geografica: a due passi dalla terra ferma, facilmente accessibile, circondata da fondali bassi, abbastanza pianeggiante per l?edificazione di case, mercati e luoghi di culto.
E qui cominciano le dolenti note, perché, come si sa, gli antichi abitanti del Libano amavano offrire agli dei sacrifici umani, dei quali restano tracce anche a Mozia. In località Cappeddazzu, si trovano i resti di un grande tempio, a pianta tripartita, nel senso della lunghezza, tornati alla luce dopo il crollo della piccola basilica edificata sopra di esso, durante il Medio-Evo, da monaci basiliani. Numerose stele, a volte contrassegnate da elementi ed iscrizioni, caratterizzano l?area, detta Tophet, la più importante dell?isola, perché ha fornito il maggior numero di dati, fondamentali per la conoscenza della storia e la compenetrazione della cultura punico- fenicia, contaminata dal contatto con altre popolazioni della sfera mediterranea. Al santuario, a cielo aperto, è annesso il campo sacro, dove venivano deposti i vasi con le ceneri dei defunti o dei corpi sacrificati a Baal Hammon, divinità assetata di sangue, secondo le credenze dell?epoca.
Per la fondazione della città, identificata come MTW non avendo l?alfabeto degli abili navigatori le vocali, si parla di VIII secolo a. C., ma sono successivi i reperti, venuti alla luce dentro e fuori le mura dei 45 ettari di terra, sospesi tra cielo e mare, a due passi da Birgi, terra antistante, non esente da insediamenti. Proprio Birgi fa parte di un mistero giunto irrisolto fino ai nostri giorni.
Verso il VI secolo a.C., non si sa perché, gli abitanti abbandonarono la consuetudine di seppellire i defunti nelle aree considerate sacre e crearono una nuova necropoli sulla costa di fronte, collegata alla loro piccola isola con una strada lunga circa due km e abbastanza larga (7 metri) da lasciare transitare due carri affiancati. Punto di partenza: Porta Nord, riconoscibile ancora oggi. Punto di arrivo: la necropoli dove furono rinvenuti diversi sarcofagi, sin dal 1906.
A fare la sensazionale scoperta, fu Giuseppe Whitaker, nobile e ricco siciliano d?origine inglese, che da autentico appassionato d?arte e cultore dell?archeologia, non si lasciò sfuggire il piacere di acquistare l?isola e di riportare alla luce testimonianze sepolte sotto cumuli di terra e secoli di negligenza.
Tra le prime opere da ammirare, la poderosa cinta muraria: 2,5 km di lunghezza per 5 metri di spessore, con varie torri di vedetta e porte d?accesso, a nord e a sud. Segue il quartiere industriale, caratterizzato dalla presenza di forni, nei quali venivano cotti i vasi commercializzati altrove. La produzione, in origine, servì probabilmente per uso domestico. Soltanto successivamente subì influssi greci, si colorò e si arricchì di forme e figure stilizzate, senza mai raggiungere aspetti raffinati. Nella costruzione ad omega dei forni, è facile rintracciare origini orientali, proprie dell?Asia minore.
Traffico commerciale e struttura militare marittima dovettero scandire la vita dei residenti negli anni d?oro di Mozia. La presenza del Cothon, porticciolo interno ancora oggi ben definito e conservato, ed utilizzato un tempo, per il trasporto delle merci dalle grandi navi ancorate al largo, ma forse anche come bacino di carenaggio, dà idea dell?organizzazione e delle strutture necessarie al transito ed al mantenimento della flotta navale, complesso di ? legni? leggeri, ricavati dai cedri, rigogliosi sulla catena del Libano.
Greci e Fenici, così propensi a stabilire rapporti commerciali, entrarono spesso in rotta di collisione. Tra loro, scoppiarono guerre dai risultati alterni. Capitò così che anche Mozia fosse distrutta nel 397 a.C., per ordine di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. Molti superstiti cercarono scampo sulla costa siciliana, dove fondarono Lilibeo, l?odierna Marsala, con l?aiuto dei cartaginesi. Una nuova base fu così gettata per la nascita di un nucleo punico-fenicio, con caratteristiche uniche nel loro genere.
L?isola, però, non rimase a lungo disabitata, come dimostrano reperti significativi degli scavi più recenti, esposti nel Museo, creato da Giuseppe Whitaker nella residenza di famiglia, costruita nell?Ottocento.
Molto interesse suscita una statua maschile, a grandezza naturale, in marmo, scoperta nel 1979, risalente al V secolo a. C., realizzata di sicuro da un grande scultore, come denotano la compostezza, la cura dei particolari, la bellezza e lo stile comune ad altri capolavori dello stesso periodo. Auriga, sacerdote o magistrato, il giovane raffigurato, ha un? acconciatura importante in testa e porta una simbolica fascia sul petto.
Brocche con orlo a fungo, statuine di divinità materne, stele votive con figure frontali, idolo a bottiglia o tamburello in mano, vasetti egizi in faience, protomi, collane, orecchini e pendenti in oro ecc, fanno parte del corredo del Museo da arricchire con ulteriori campagne di ricerche sistemiche. Anche perché la zona abitativa ha riservato finora sorprese di tutto rispetto. Molto originale è il pavimento a mosaico, realizzato con ciottoli bianchi e neri, raffigurante scene di lotta tra animali reali ed immaginari, con cornice greca, mai riprodotto in altri ambienti, in Sicilia.
Per l?accesso al corridoio di ronda, a livello superiore della Torre orientale, sussiste una scala a due rampe, separate da pianerottolo, con incassi evidenti per cardini di porta, che probabilmente ebbe battenti robusti.
Un ruolo non indifferente ha giocato il fenomeno del bradisismo terrestre tra costa e livello del mare, con l?abbassamento di circa 60 centimetri.
Anche la strada costruita da Porta Nord a Birgi, è ormai sotto il livello dell?acqua. Con un po? di buona volontà e scarpe di gomma, può essere percorsa a piedi, con la bassa marea, prestando attenzione ai cippi che affiorano in qualche punto. Fino al 1970 era possibile percorrerla tutta a bordo di carri trainati da buoi, con lo stesso sistema con cui si trasportavano uomini, cose e prodotti alimentari ( uva Grillo soprattutto, ottima per la produzione del Marsala) sul litorale frontale. Forse era ubicata nel quartiere delle botteghe, la Casa delle anfore, costruzione semplice, adibita a deposito, come lascia intendere il numero di contenitori in argilla, rinvenuti in essa.
Unica nel suo genere, la maschera grottesca, in terracotta, di uomo che ride, mentre sono abbastanza comuni vasi corinzi ed italioti, anfore greche ed etrusche, resti di civiltà sicana, sicula ed elima. La costruzione, detta casermetta, sembra essere stato presidio militare, addossata com?è ad una torre ma anche per via di elementi in verticale. Il blocco con due leonesse che azzannano un toro, poteva essere sul frontespizio della porta più importante, senz?altro la Porta settentrionale, dotata di tre sbarramenti a 22 metri di distanza l?una dall?altra.
Anche Heinrich Schielmann fece tappa a Mozia nel 1875, sulla scia dell?entusiasmo romantico che lo portò alla scoperta di Troia , Argo e Micene, ma fu molto frettoloso nelle conclusioni tratte da osservazioni superficiali. Nessun dubbio ebbe invece Whitaker, che avviò indagini sulla base dell?entusiasmo e vide ricompensati i suoi sforzi. I primi scandagli non ebbero rigore scientifico. Oggi si procede diversamente, con mezzi all?avanguardia e criteri di sezionamento a strati. Il Museo è organizzato in 12 sezioni.
La laguna, con la sua acqua bassa e stagnante (mota, da cui motya o mothia) potrebbe aver dato nome alla colonia, ma c?è chi propende per altra spiegazione dall?etimo imprecisato, e dice che significa filanda, dal momento che pozzi e cisterne testimoniano attività di tessitura e tintura nei pressi dell?area dei molluschi muricidi, fornitori a migliaia dell?elemento principe della porpora. La riserva marina circostante ha fondali ricchi di posidonia, alga necessaria alla produzione di ossigeno ed alla conservazione ottimale delle condizioni ambientali, che attraggono stormi migratori e stanziali, aironi, garzette e fenicotteri rosa, in primo luogo.