LUISA CHIUMENTI
Un testo molto originale, firmato da Pietro de Silva, ?I due ladroni?, é ora di scena al Teatro Ghione di Roma e presenta, con molta capacità comunicativa, attraverso il linguaggio colorito di uno dei due personaggi unici (il ?vinaio?) e quello dell?altro (il maestro elementare), più compassato e formale varie situazioni semplici, di uomini semplici, tuttavia portate avanti gradualmente verso emozioni sempre più forti ed infine addirittura estreme.
Gli interpreti, Augusto Fornari e Massimiliano Giovanetti, due degli artisti più interessanti ed eclettici del panorama teatrale italiano, si incontrano e confrontano su un testo piuttosto ?bizzarro, semplice e complesso allo stesso tempo?, egregiamente diretto dalla regia dello stesso Augusto Fornari.
Con viva suggestione si animano quindi sul palcoscenico le impressioni suscitate dalla descrizione dei momenti vissuti dai due unici protagonisti in due mondi totalmente diversi che in certo modo si incontrano: quello semplice e spontaneo del vinaio e quello più raffinato e consapevole, del maestro, sullo sfondo di una accurata e suggestiva scenografia, a firma di Gianluca Amodio. Questa evoca molto bene un bosco reale in una zona dei monti Lucretili quando, all?alba del terzo millennio due attori improvvisati, scelti per una sacra rappresentazione sul Golgota, un vinaio appunto ed un maestro, dopo essere stati issati sulle rispettive due croci, nel ruolo dei due ladroni, sono destinati a far parte della sacra rappresntazione della Passione di Cristo. Ma gli abitanti del paesino della campagna laziale, per una serie di ragioni (non ultima una importantissima…partita di calcio…!) dimenticano i due ladroni e i due uomini vengono abbandonati ?in croce?.
Di fronte ?all?atroce consapevolezza dell?abbandono? i due sono dapprima pervasi da un grande stupore ed incredulità, ma poi sopravvengono la rabbia e la paura; essi allora cercano di occupare il tempo, narrando l?uno all?altro le proprie convinzioni e le proprie vite così diverse, con notevoli spunti di comicità, particolarmente per i moti caratteristici del mondo semplice del vinaio, con le espressioni tipiche laziali, molto vivaci e colorite.
Ma si ha modo di cogliere d?altro canto un triste consapevolezza di vita da parte del maestro che sottolinea con le sue parole rivolte al vinaio (che quasi si addormenta e nella sua semplicità poco lo comprende) la malinconia dei sogni infranti di un piccolo maestro elementare frustrato dal fallimento di una vita trascorsa sempre uguale stessa, mentre la vecchiaia ormai incalza, con le sue rughe che lo specchio comincia inesorabilmente a evidenziare e non c?é più nulla da fare, più niente che possa cambiare le cose.
Ecco quindi un lavoro che l?Autore dichiara di avere ?pensato? fin dagli anni ?90 e che, tra le pieghe di una ambientazione realistica, che affonda anche le radici nei ricordi d?infanzia dell?Autore stesso (dalla figura di un padre rigido come quello del ?vinaio? alle immagini di una campagna romana affascinante e povera), ma che soprattutto invita lo spettatore, al di là della comicità che appare in superficie, a qualche ben più profonda meditazione sulla Vita di ognuno di noi e sulla importanza di possedere un modo giusto per valorizzarla e viverla appieno.
Un plauso quindi all?Autore ed ai bravissimi interpreti, ma è giusto anche ricordare i contributi essenziali dati da un gruppo di lavoro molto affiatato, che ha messo in scena un unicum veramente originale che il pubblico ha seguito con attenzione sempre crescente: dalle ?voci off? di Sergio Fiorentini e Andrea Perroni, al coordinamento organizzativo di Roberta Federica Serrao, all?aiuto regia di Manuel Bisanti e le musiche di Brahms, Mussorrgsky, nonchè le lamentazioni popolari della Settimana Santa.
Per informazioni:
Teatro Ghione ? Via delle Fornaci, 37
Tel. 6372294