MARIELLA MOROSI
L?anima dell?artista, ma anche tutta la fisicità della carne è su queste tele di Federico Farnesi esposte al Palazzo delle Maestranze di Ronciglione (Viterbo) dal 13 al 21 novembre. Non è soltanto la mano ma tutta la plasticità di un corpo umano a segnare il messaggio e subito dopo è la sua assenza a definirlo. Farnesi stende il colore sulla tela ma poi lo asporta tramite il corpo del modello creando un?assenza, un vuoto essenziale e doloroso. Nessun riferimento a Yves Klein che bagnava le sue modelle di colori per segnare indelebilmente “una traccia di vita”. In questo caso si deve considerare l?esatto contrario,cioè il negativo della procedura, che è forse l?unico punto di contatto con l?artista francese esponente e fondatore del Nouveau Réalisme. Farnesi definisce i suoi lavori istintivi, “di pancia” perchè a chiederli è una sorta di necessità espressiva. Difficile definire l?mpulso che crea un?opera d?arte.”Ho iniziato a realizzare questi lavori circa 10 anni fa con gli acquarelli -spiega l?artista- e solamente con alcune parti del corpo come mani, braccia, viso, poiché ero io stesso ad imprimermi sulla carta o sulla tela. Poi ho coinvolto mia moglie prima di scegliere come modello-ispiratore l?amico Antonio Catalano.I primi lavori erano in blu-celeste ma li ho presto abbandonati appunto per scacciare l?equivoco di Klein”. Cosidera infatti maestri elettivi piuttosto i Manieristi (Pontormo, Rosso Fiorentino e altri minori del cinquecento italiano), poi Caravaggio, l?austriaco Egon Schiele, l?espressionismo tedesco, e Francis Bacon. Colpito da alcune opere di Toti Scialoja (Impronte) realizzate su pigmenti neri, l?artista si è rivolto a questo materiale che risultava più adatto a cio? che cercava . Da qui anche il titolo della mostra, suggeritogli da Antonio, che e? la citazione di una sua opera ?Il sonno di un?ora??.
I colori più usati sono il rosso e i nero, quelli della scrittura cioe? della forma principale della comunicazione. Ma come è nata questa formula insolita del comunicare, che è lo spirito dell?arte? ”Tutto parte dall?emozione provata a Venezia, ai Piombi, nome con cui definivo all?inizio i miei lavori. L?intenzione era quella di far rivivere la presenza di qualcosa, o meglio, di qualcuno che ha lasciato una traccia forte quanto immateriale, incidendo il legno o con chissà quali mezzi di fortuna, con chiodi o punzoni ho semplicemente con le unghie”. E? in quel vuoto che può riesplodere la vita. Il messaggio impresso, oggi come allora, vuole scavalcare situazioni codificate, implacature che organizzano i comportamenti sociali, come morale, religione o politica, ma anche moda o regole indotte dai media. Per esprimere l?affrancamento da tutto questo l?individuo deve lasciare un suo segno e infinite sono le memorie di medesimi accadimenti.?Per rientrare in possesso della propria individualità, del proprio vissuto, è quindi necessario recuperare la memoria e ricostruire una coscienza -dice ancora Farnesi- e i nomi dei lavori significheranno perciò quel recupero che solamente io come individuo riesco ad identificare per i precisi ricordi, le situazioni e le sensazioni che questi mi susciteranno. L?unica cosa che ho capito di ciò che viene definito arte è che essa rappresenta un?esperienza fondamentalmente individuale, dunque un punto di vista unico sia per ciò che riguarda il metodo espressivo sia per quello creativo”.