GIUSEPPE GARBARINO
Non furono molti i giornalisti che nel ventennio fascista riuscirono in modo quasi disincantato a trattare di argomenti definiti ?leggeri? come quelli teatrali, ma tra questi emerse velocemente il bresciano Eugenio Bertuetti, classe 1895.
Dalla profonda provincia bresciana, un minuscolo paesino che porta il nome di Sovraponte di Gavardo, si trasferì nel 1914 a Torino per seguire le sue aspirazioni di giovane studente pieno di belle idee e speranze iscrivendosi al Politecnico.
Qui trovò un modo nuovo, lontanissimo per quei tempi dalla casa paterna, un mondo che lo affascinerà subito lasciando dei segni indelebili sulla sua personalità, segni che lo seguiranno per il resto della vita.
Travolto dall?entusiasmo dell?onda nazionalista ed interventista, venne quasi subito assimilato dagli eventi che sfoceranno nella nascita del fascismo, tanto da farlo partecipare alla Marcia su Roma.
Pochi anni dopo il suo arrivo a Torino, emerse tutto il potenziale culturale nascosto nella sua corteccia di provincia e nel 1923 il Bertuetti si trova a dirigere il periodico ?Il Maglio? e poco dopo, nel 1925, a ricoprire la carica di vicedirettore del quotidiano ?Il Regno?.
E? proprio grazie a questa ?incontrata? serenità professionale che si innamora del teatro scrivendo nel febbraio del 1925 il suo primo articolo di critica, ?Sadismo teatrale?, quello che molti definirebbero ?un titolo, un programma!?.
Da quel momento è tutto un crescere, in quell?inesorabile mondo che vede nelle mani e negli scritti dei critici il successo o lo scempio di un lavoro teatrale.
Ormai gli studi al Politecnico sono abbandonati e la porta della Gazzetta del Popolo di Torino si apre prepotentemente con la chiusura de Il Regno; viene infatti assunto come critico teatrale e nel 1937, dopo anni di un percorso in leggera salita si troverà ad assumerne la vice direzione del quotidiano torinese e dopo che Ermanno Amicucci viene nominato Sottosegretario alle Corporazioni nel novembre del 1939, direttore di una delle più importanti testate giornalistiche d?Italia.
Sotto la sua direzione la Gazzetta del Popolo di Torino passò a 300 mila copie per la sola edizione del mattino, un successo editoriale che si troverà purtroppo a dover fare i conti con lo scoppio della guerra.
E? nel periodo passato alla scrivania della Gazzetta del Popolo che quella frequentazione con il mondo del teatro si trasforma nella voglia di cambiare posizione, di non sedere solo in platea a scrutare e soppesare autori e attori, ma a creare magia; ecco che nella vita di Eugenio Bertuetti, in un momento in cui è ormai affermato ?professionista della penna? si trasforma in autore di teatro.
L?amicizia con Sergio Pugliese aveva dato i suoi frutti, maturando e cementando quella che diventerà una breve ma intensa attività a due mani.
Lui che di attori ne aveva conosciuti e frequentati tanti si trovo ad essere anche autore, lui che solo nel 1937 aveva scritto ?Ritratti quasi veri?, dove l?amicizia con Petrolini, le conversazioni con Massimo Bontempelli, gli incontri con la Borboni ed il resto della scintillante costellazione del teatro italiano degli anni ?30 segnavano un ?epoca.
Re Aroldo viene pubblicata nel 1938 dalla Società Editrice Torinese, è la prima commedia del duo Pugliese Bertuetti, ma non venne mai rappresentata; la censura bloccò la brillante parodia sull?abdicazione di Edoardo VIII.
Seguì ?Il velo bianco?, rappresentato all?Odeon di Milano nel marzo del 1939 e sull?onda del successo, nel 1940, ?Scritto sull?acqua?.
Purtroppo i tempi erano minati dagli eventi bellici e il teatro d?autore soccombeva alle notizie dei corrispondenti di guerra che, sempre più fitte trasformarono la direzione della Gazzetta del Popolo di Torino in una ?direzione difficile?, dove Eugenio Bertuetti dovette districarsi tra idee pensate e idee scritte. I suoi pochi scritti di partito saranno archiviati come quelli meno felici, retorici ed impersonali.
La caduta del regime il 25 luglio del 1943, la sostituzione alla guida della Gazzetta del Popolo, l??esilio? a Santa Lucia di Sopraponte, l?8 settembre, le giornate in attesa degli eventi, la famiglia raccolta nella grande villa paterna, la figura di grande protezione ed energia della moglie Julie Gino, sono la cronologia dei momenti più difficili della carriera di Eugenio Bertuetti.
Nei mesi della Repubblica Sociale Italiana si autocensurò, si “sospese” chiudendosi nel riserbo e cercando di farsi dimenticare, forse per quella disincantata tristezza nascosta da una malcelata e inesistente paura; solo, sotto pressione, venne convinto nel gennaio del 1945 a scrivere qualcosa per la Nuova Antologia, riuscendo a riproporsi con la sua prosa sciolta, ammiccante e allo stesso tempo delicata, un racconto preso dai ricordi di famiglia della madre di Julie, la sua compagna, quel “Ritratto di vecchia signora” che verrà riproposto nella raccolta Miele Amaro nel 1947.
Finita la guerra le difficoltà economiche diventarono sempre più pressanti, ma l?amicizia di un vecchio amico lo catapultò alla direzione de ?Lo Smeraldo?, una delle prime esperienze di marketing aziendale, era infatti nelle idee del vecchio compagno di collegio del Bertuetti, l?industriale farmaceutico Carlo Sigurtà, di creare una rivista culturale che al tempo stesso servisse da promozione per l?azienda farmaceutica con degli allegati scientifici.
Ancora oggi ?Lo Smeraldo? viene ricordato come un segnale di quella rinascita che accomunò altre iniziative culturali.
Diciotto anni durò la pubblicazione, con una cadenza bimestrale nella quale le grandi firme della cultura italiana fecero a gara per partecipare al sogno del Sigurtà del suo amico Bertuetti e dell?importante collaboratore Dario Cartago Scattaglia.
Moravia, Comisso, Ungaretti, Umberto Saba, Papini, Bargellini, Achille Campanile, senza contare gli illustratori come De Pisis, Mario Vellani Marchi e tanti altri. Furono anni proficui sotto tutti gli aspetti le vecchie amicizie si consolidarono, quelle nuove lo arricchirono.
Tra i nuovi incontri ci fu quello con il Premio Nobel Alexander Fleming, ospite dei Sigurtà nella villa di Valeggio sul Mincio, incontro testimoniato da Indro Montanelli.
Nel 1950 riprese la collaborazione con la radio e poco dopo un incarico per Epoca ma il 1953 segnò la rivincita e ancora un amico degli anni ormai trascorsi lo chiamò a dirigere il Radiocorriere, una rivista che rappresentava il segno dei tempi, il cambiamento e il boom economico.
Quell?amico fu Sergio Pugliese, conosciuto ai tempi della Gazzetta, il compagno dell?avventura teatrale che era stato chiamato a coordinare la nascita della televisione di stato, la RAI.
Grazie all?opera del Bertuetti il Radiocorriere brillò di luce propria, la tiratura aumentò insieme alle vendite, un uomo di altri tempi, come veniva ricordato dai suoi collaboratori, aveva trasformato il vecchio periodico in un rotocalco moderno.
Troppo veloce ed inevitabile arrivò il pensionamento all?età di 65 anni e con esso il ritorno alla campagna di Gavardo, vicino alle tombe dei suoi genitori, ai ricordi dell?infanzia e dei molti amici ormai scomparsi.
Il 12 marzo del 1964 un ictus cerebrale lo colpì senza appello a 69 anni, mentre lavorava a un progetto per la televisione dopo le insistenze dell?amico Pugliese. Si chiuse così la vita vibrante di Eugenio Bertuetti, che come ha scritto in modo estremamente chiaro e completo Attilio Mazza con il titolo di un suo libro dedicato alla figura del giornalista di Gavardo, ? Eugenio Bertuetti: la vita come un sogno ?, forse la morte lo ha svegliato riportandolo vicino alla madre che lo lasciò tristemente solo, ancora bambino.