Il rapporto tra un uomo e il suo animale: antidoto contro solitudine e malattie

 

Di Teresa Carrubba

 

Risale alla fine del Settecento il primo esperimento di quella che oggi chiamiamo pet therapy (letteralmente: terapia con l’animale prediletto), quando in una clinica di York, in Gran Bretagna, i malati di mente venivano abituati all’autocontrollo prendendosi cura degli animali domestici. Lo stesso sistema fu adottato nel 1867 a Bielefeld in Germania, per curare l’epilessia, e negli anni Venti in Francia e in U.S.A, per sollevare i reduci della prima guerra mondiale debilitati da sindromi ansiose e depressive. Ma fu la Croce Rossa Americana a mettere a punto il primo vero programma organizzato di pet therapy, nel 1944 in un centro di convalescenza a Pauling, vicino a New York, che accoglieva i soldati dell’aeronautica militare. Da allora, soprattutto nei paesi anglosassoni, la pet therapy è stata valorizzata in molti settori della medicina arrivando poi, con il solito doveroso ritardo, anche in Italia.

 

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Nelle sue varie specialità tra cui l’equitazione terapeutica o Ippoterapia, la quale sfrutta la tesi che una passeggiata a cavallo, a parità di movimento, è sempre più stimolante e quindi più salutare di una gita in bicicletta e la Delfinoterapia,  che deve i suoi benefici soprattutto alla godibilità del contatto con un animale così docile e socievole come il delfino. La pet therapy si basa sul princi­pio che gli animali stimolano la socializzazione essendo in grado di su­perare le barriere della comunicazione. E se ciò è sicuramente positivo per una persona sana, è stato provato che può dare enormi vantaggi anche nella cura della depressione o di importanti malattie organiche. Il rapporto tra un uomo e il suo animale è rassicurante e rilassante, soprattutto per la mancanza di competitività e per il senso di compagnia e serenità che esso può dare, e ciò normalizza la produzione di adrenalina e di altri “ormoni dello stress” con il risultato di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco e respiratorio più lento, un migliore tono muscolare.

 

Dunque, un ottimo complemento nella terapia degli stati depressivi, ma anche di problemi cardiocircolatori e dell’apparato locomotorio. Il  meccanismo si gioca tutto sull’emozione positiva che può nascere dal rapporto con un animale. Anzi, quanto maggiore è il legame emozionale, tanto più evidenti sono i risultati. Il ricercatore Herbert Benson, della Harvard University (USA) ha provato l’esistenza di un rapporto tra emozione e rilassamento il quale conduce, oltre tutto, a una riduzione del 75% dell’ insonnia e del 34 % delle sindromi dolorose, con conseguente diminuzione dell’uso dei farmaci.

 

Recente, poi, è la scoperta che le endorfine, molecole che il cervello produce in seguito a un’emozione, aumentano le difese immunitarie scongiurando o almeno attenuando il pericolo di infezioni. Altro aspetto molto importante è quello ludico che spesso si instaura nel rapporto uomo-animale; il divertimento e quindi il ridere, e ormai è scientificamente provato quanto ridere faccia bene alla salute. Ma non bisogna trascurare neanche il fatto che un animale, per esempio un cane, obbliga quotidianamente a una o più passeggiate ed è ben nota l’importanza di un’attività fisica moderata nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie e addirittura nel recupero dopo un infarto. Ovviamente, in questi casi la scelta deve cadere su un animale adatto: un cane non troppo vivace, per evitare di dovergli correre dietro.

 

 

Una persona che ha delle preoccupazioni, passeggiando da sola tende a pensarci, ma se è impegnata a seguire il suo cane, le dimentica. Se poi, durante le sue uscite con il cane conosce altri animali e i loro proprietari, ecco ampliarsi gli interessi e le amicizie: un valido sistema per mantenere o riacquistare un buono stato di salute mentale e fisica. E’ questo il meccanismo attraverso cui il rapporto partecipato tra uomo e animale determina un’importante stimolazione psicologica che condiziona positivamente non solo il comportamento sociale e di relazione, ma addirittura alcuni aspetti del  carattere e certi processi cognitivi.

 

 

Questo è estremamente importante soprattutto per gli anziani i quali spesso sentono il graduale svuotamento del proprio ruolo nella vita perché nessuno ha più bisogno di loro. Al contrario, un animale può dipendere da una persona non più giovane e in cambio lo rassicura sul suo valore e sulle sue capacità ancora integre. Nelle case di cura e di riposo per anziani, gli animali fungono da intermediari sociali, spingendo i pazienti a relazionarsi tra loro e con il personale. Tanto più che da una ricerca statistica è emerso che la solitudine e la tristezza di molti anziani ricoverati in ospedale o trasferiti in casa di riposo dipendono spesso dal trauma di dover lasciare l’animale cui sono molto affezionati.