Di Viviana Tessa
Un territorio di Toscana protetto dalla denominazione di parchi nazionali e regionali, un sistema di straordinaria varietà tra pareti di montagne aguzze, castagneti e borghi arroccati. Uno scrigno di bellezze naturali che separa le piccole isole del Tirreno dalle storiche città della Pianura Padana, tra le Alpi Apuane scavate dai torrenti che si riversano a valle irrigando campi fruttuosi e la robusta dorsale appenninica ammorbidita da immense distese di faggi. Un territorio secolarmente antropizzato da operosi abitatori che lasciano percorsi simbolici delle loro antiche e sempre vive attività: capanne per pastori di montagna, essiccatoi per castagne, mulini da torrente, alveari per la produzione di miele, cave di marmo e i cosiddetti –ravaneti- depositi di materiale di scarto dall’estrazione del marmo.
Il fiume Serchio separa geograficamente le due imponenti catene montuose e anche due zone climatiche completamente diverse: a sud clima caldo e umido con inverni miti, a nord estati calde e inverni freddi. Un fenomeno, questo, che ovviamente condiziona anche le risorse naturali e produttive: a sud crescono olivi e agrumeti, al clima rigido del nord vivono boschi di castagni e faggi ricchi di mirtilli e lamponi, e alpeggi. Un territorio variegato, dunque, che offre il destro per itinerari enogastronomici interessanti e ghiotti attingendo direttamente ai prodotti antichi, dalle castagne alle carni, ai formaggi, ai salumi alle confetture, ai mieli, oppure ai menu speciali proposti dai ristoratori del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano con la supervisione di Alma, la scuola internazionale di cucina italiana di fama mondiale, a Colorno in provincia di Parma.
Oggetto di vanto di queste tavole sono la “cultura del Parmigiano Reggiano” di montagna per il versante emiliano, la “cultura del castagno” ampiamente rappresentata nei versanti di Garfagnana e Lunigiana, e la “cultura del testo”, il disco piatto utilizzato per la cottura sul fuoco che caratterizza la cucina appenninica dell’alta Toscana. Non da meno i pregiati prosciutti, realizzati con le migliori carni suine italiane senza l’ausilio di conservanti, di nitrati o prodotti chimici in genere, ma con la sola aggiunta di sale marino. Un vero capolavoro di salumeria, apprezzato anche nei migliori ristoranti di tutto il mondo.
Che dire poi di prodotti a marchio DOP e IGP, di valore nazionale ed europeo, dei prodotti agroalimentari tradizionali e dei Presidi Slow Food, specie quelli della Valle del Serchio, compresa tra Lucca e la Garfagnana? Esempi notevoli sono il Biroldo, sanguinaccio prodotto con carne di maiale e spezie secondo un’antica ricetta, il Pane fatto con patate schiacciate e cotto nel forno a legna e il Prosciutto Bazzone, dal sapore deciso e leggermente aromatico, prodotto già alla fine dell’Ottocento quando lo si collocava insieme ad altre parti del maiale (pancetta, lardo, gota) dentro una vasca di pietra per la stagionatura, con l’aggiunta di sale, aglio, spezie e vino. Procedura seguita anche oggi. A questi presidi Slow Food si aggiungono poi altri prodotti tipici del territorio, come la Mondiola (salame preparato con carni suine di prima scelta aromatizzate con spezie), i funghi porcini (che crescono all’ombra dei castagni nei boschi che ricoprono la Valle), il Farro IGP (la cui produzione avviene in maniera biologica, senza l’utilizzo di prodotti chimici).
Prodotti davvero rari e dal sapore forte, che ben si addicono alla terra di origine, la Garfagnana. Una terra con più di cento campanili, rocche e castelli in posizioni impervie e tanti pittoreschi borghi da scoprire. Ponteccio, il più alto dei borghi della Garfagnana, con le case in pietra perfettamente conservate immerse tra secolari boschi di castagni. La fortezza delle Verrucole, considerata tra le più importanti vestigia medievali della zona; tracce di antichissimi insediamenti in loco sono costituiti da numerosi ritrovamenti neolitici, da una necropoli Ligure (presso San Romano) e dal percorso della romana Via Clodia. Paesaggi forti come quello che si apre sulle Alpi Apuane dal versante di Carrara, salendo lungo i tornanti che portano dal livello del mare a 1000 metri a Campocecina. Da qui lo sguardo si apre sui candidi blocchi del pregiato marmo tagliati dalle cave e sistemati a gradoni in attesa di essere caricati e trasportati fino al mare. E ancora da qui, nelle giornate serene, appaiono chiari il promontorio di Monte Marcello, le isole Palmaria e Tino, l’intero golfo di La Spezia e, se il cielo è veramente limpido, anche in lontananza Capraia e Gorgona.