Testo e foto di Luisa Chiumenti

La Villa di Livia, posta sulla via Flaminia, vicino al Borghetto di Prima Porta , non lontano dalla Stazione di Prima Porta, troppo a lungo rimasta quasi nascosta e sconosciuta ai più, finalmente si può riproporre, nella sua bellezza architettonica, paesaggistica e archeologica, non solo agli studiosi, ma al grande pubblico, dopo gli accurati restauri condotti a cura della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Particolarmente affascinante e oggi valorizzato assai bene dopo i restauri, il piccolo gioiello è stato inaugurato, nel nuovo allestimento, in occasione del bimillenario di Augusto (progetto di allestimento: Fabio Fornasari con Lucilla Boschi ,  arch. Finotti (strutture)  – Direttrice del Museo Marina Piranomonte).   Appare  subito   evidente il rapporto del complesso con la Natura e il  paesaggio, lievemente dominante sulla collina in vista del Tevere. E’ ben nota la sensibilità per la Natura di Livia, la terza moglie di Augusto, che vi ha vissuto moltissimo e che curava ogni spazio verde ma in particolare un  giardinetto situato vicino alla sua stessa  camera da letto, con essenze rare e delicate.

Interessante è il progetto ventilato dal corposo gruppo di tecnici e di studiosi che si sono occupati del restauro del complesso su vari fronti, di potervi realizzare un vero e proprio un “polo territoriale, come quello di Malborghetto,  legato Costantino (da tempo sistemato) . Si tratta di un grandioso complesso fatto di natura e architettura, voluto appunto da Livia, in una vasta area che la sua famiglia possedeva appunto sulla consolare Flaminia. In particolare la Natura è presente in diverse forme, concettuali, artistiche, naturali e si presenta davvero, come già è stato osservato, come la “chiave utile” non solo per descrivere l’apertura e la profondità  spaziale del luogo, ma per renderla oggi palese , con la ricostruzione del “giardino grande” e la ristrutturazione delle architetture circostanti. Di particolare fascino è il “lauretum”, che si raggiunge percorrendo dall’ Antiquarium, un tratto dell’antico basolato del diverticolo della via Flaminia. La grande terrazza, suddivisa in quattro spazi di 9×9 metri, mostra, nei suoi campi, 64 piante di allori alte tre metri e contenute in grandi olle d’argilla realizzate appositamente. Le piante non sono state disposte nel terreno , ma all’interno delle olle, per mantenere nel tempo la possibilità di spostarle, ove si verificasse la necessità di realizzare altri scavi in quella superficie.

La storia del “lauretum” è in qualche modo legata a quella del nome stesso della villa “Ad gallinas albas”. E’ infatti Plinio che così ricorda: “Stando seduta” [Livia] “ricevette in grembo una gallina di notevole bianchezza che un’aquila  aveva lasciato cadere dall’alto, illesa,  e che teneva nel becco un ramo d’alloro carico delle sue bacche.  E un altro storico come Cassio Dione aggiungeva: “ Ritenendolo Livia un presagio importante, allevò la gallina e piantò il ramo di alloro. Esso radicò e crebbe  così rigoglioso da rifornire con i suoi rami per lungo tempo , i trionfi dei successori”. E’ stato egregiamente messo in evidenza, con l’attuale restauro, il quartiere residenziale composto da nuclei edilizi di età augustea, con rifacimenti fino al IV secolo d.C. Si tratta di un complesso di rappresentanza , un triclinio semipogeo, le terme e il quartiere degli ospiti.  Grandi ambienti di rappresentanza circoscrivevano  il peristilio porticato  e pavimentato con un mosaico augusteo, in origine delimitante un terzo giardino. Ed è in questo giardino che, in età flavia, si ricavò una vasca (“natatio”), decorata in età severiana, sul bordo, con un mosaico rappresentante un”thiasos” marino.  Ed è interessante notare come quasi tutti gli intonaci ancora “in situ” nella villa, siano databili a restauri successivi alla metà del II sec. D.C., ad eccezione di un piccolo lacerto a fondo nero con testina e decoro floreale presente nell’atrio, databile all’età augustea e riconducibile al III stile pompeiano; numerosi lacerti rinvenuti e accuratamente restaurati, sono ora esposti nel Museo e attestano poi fasi decorative dalla prima metà del I sec. alla fine del sec. III d.C. Gli interventi di restauro e di manutenzione eseguiti su parti murali, mosaici e pavimenti lapidei, hanno riguardato gli ambienti che si snodano lungo il percorso di visita.

Lo stato di conservazione generale era fortemente compromesso anche a causa dei numerosi fattori di degrado tipici dei siti archeologici, come: l’esposizione agli agenti atmosferici  (vento, freddo e caldo e acqua piovana con l’accumularsi delle particelle atmosferiche  e di patine biologiche). Tutti questi fattori hanno infatti incrementato il deterioramento di opere tanto antiche e quindi assai fragili e sempre esposte a incendi, crolli e bombardamenti (durante la II^ Guerra mondiale). Il percorso di visita termina con l’incanto particolare offerto dalla vista del luogo in cui era stato voluto da Livia ed Augusto, nel 38, il famosissimo “affresco del giardino”, capolavoro insuperato nel suo genere, per qualità e maestria, oggi conservato in originale al Museo di palazzo Massimo. Esso venne alla luce, nell’ambiente ipogeo,  nel 1863, nella zona più rappresentativa della villa. Il nuovo allestimento  lo ha concepito come una “scenografia teatrale2 che consente comunque la lettura della muratura originale dove si identificano ancora le tracce delle grappe che fissavano l’antico affresco e, grazie a un doppio sistema di illuminazione temporaneo, proietta, su un telo di garza, l’immagine della parte dipinta.

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