Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Lo stato indiano dell’Orissa, poco battuto dal turismo, si differenzia decisamente da tutti gli altri stati della confederazione, quanto meno per due peculiarità: alcuni dei templi più belli e venerati della religione induista, edificati con criteri architettonici diversi da tutti gli altri, e per la presenza, in termini numerici ancora rilevanti, di antiche popolazioni autoctone di origine dravidica, già presenti sul territorio al tempo delle prime penetrazioni ariane nel subcontinente indiano, 3.000 anni or sono, le quali vivono confinate in foreste remote con un livello tecnologico e di civiltà assolutamente primitivo, mantenendo però intatti le loro vetuste tradizioni e gli stili di vita di un lontano passato. Geograficamente l’Orissa, grande poco meno della metà dell’Italia, si affaccia sul golfo del Bengala quasi a metà del lato orientale della penisola indiana; presenta lungo la costa spiagge incontaminate bordate da palme, luogo di nidificazione delle tartarughe ulivacce, e fertili pianure coltivate a riso, miglio, canna da zucchero, iuta e piante oleose, dove si trovano le principali città, mentre l’interno è formato da colline ricoperte da fitte foreste che offrono da sempre riparo a 6-8 milioni di individui di pelle scura di tipologia australide, i cosiddetti “adivasi” (primi abitanti), i quali hanno fino ad ora rifiutato qualsiasi tipo di integrazione nella società indiana per mantenere in vita i loro antichi sistemi sociali e la loro cultura originale, completamente dissimili da quelli di tutte le altre gente indiane, che esprimono attraverso abiti, gioielli, feste e mercati.
Pur appartenendo a 62 gruppi tribali diversi, ognuno dei quali parla una propria lingua, gli adivasi presentano alcune caratteristiche comuni: praticano un’agricoltura itinerante di sussistenza, integrata da caccia e raccolta di frutti spontanei, sono animisti con venerazione di totem, praticano una vita comunitaria in piccoli villaggi di capanne di fango e frasche, celebrano molteplici feste rituali con musiche, canti e danze, producono un originale artigianato (dipinti su carta telata, disegni su foglie di palma, pitture su ceramica, sari in seta e cotone, sculture in steatite, osso, legno e ottone, filigrane in argento) che vendono in coloratissimi mercati e, soprattutto, praticano un’intensa e libera attività sessuale, quanto meno fino al matrimonio. Ogni villaggio possiede infatti un ghotul, una casa comune dove dormono i giovani per divertirsi e poter acquisire un’esperienza erotica prima di affrontare una vita monogamica con elevato standard di fedeltà. Alcune sono pacifiche, socievoli e facilmente accessibili, altre invece vivono inaccessibili nell’intrico della foresta, senza nemmeno piste di accesso, bellicose e ostili nei confronti degli estranei. I Bonda ad esempio, una delle popolazioni più povere noti come “i pigmei dell’Orissa” per la loro bassa statura, amano cacciare, combattere e uccidere; si muovono infatti sempre armati di arco, frecce e un pugnale affilatissimo. Gli uomini vestono un perizoma bianco, portano diversi orecchini e un’acconciatura asimmetrica, mentre le donne, che vestono gonnellini di rafia, costruiscono con perline interi tessuti da usare sulle teste rasate e collane talmente grandi da fungere da abiti; usano anche massicci anelli di metallo attorno al collo. Vige l’usanza di celebrare matrimoni tra donne adulte e maschi bambini, onde assicurare alla donna di essere mantenuta dal marito fino a tarda età. Le donne costruiscono ottime scope di saggina, ma pochi le acquistano perché hanno fama di streghe. I Kondh fino al secolo scorso compivano sacrifici umani, ora sostituiti da animali, per assicurarsi buoni raccolti. Le donne si tatuano volto, braccia e piedi di blu, portano anelli d’oro e metallo a orecchie e naso, mentre gli uomini hanno i capelli lunghi raccolti a crocchia e indossano un perizoma. I Muriya non conoscono tabù sessuali e praticano il sesso liberamente; gli uomini portano una gonna arricciata, un bolerino rosso e un copricapo di piume, le donne una minigonna rossa, seno scoperto, bracciali alle caviglie e collane al collo.
I Dongriya sono parecchio aggressivi, vestono sommariamente e rifuggono dal contatto con estranei; le donne usano abiti coloratissimi e sfoggiano molteplici gioielli. I Gond hanno rapporti sociali egualitari senza distinzione di sesso o età e una vita erotica molto attiva e libera, non vincolata a matrimoni monogamici. Da non perdere assolutamente una visita ai vari mercati tribali settimanali, dove è possibile ammirare i diversi prodotti artigianali e osservare le varie etnie con i loro abiti tradizionali. L’Orissa possiede alcuni dei più spettacolari monumenti artistici di tutta l’India, con sculture e bassorilievi di gran pregio, come la capitale Bhubaneshwar, che un tempo contava oltre mille templi a partire dal VII sec., la città santa di Puri, meta di pellegrinaggio per il tempio di Jagannath, un’incarnazione di Vishnu che costituisce la divinità più venerata, sede di un monastero con 5 mila sacerdoti, nonché il Tempio del Sole di Konarak, geniale costruzione del XIII sec. scavata nella roccia e decorata da rilievi con esplicite scene erotiche, tutelato dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. I templi, dove si svolgono sontuose cerimonie, hanno sempre svolto un’importante funzione sociale, come le scuole di Odissi, una danza religiosa a sfondo erotico molto diffusa. La struttura templare orissiana si articola essenzialmente su due elementi: il portico d’ingresso e l’edificio dove si trova l’immagine divina, sempre sormontato da una torre. I templi maggiori presentano più vestiboli e altri ambienti, circondati da recinti contenenti conventi e santuari sussidiari. L’elemento di maggior spicco è costituito comunque dalla torre, ricoperta da intricati rilievi di grande espressività. A Konarak i rilievi erotici raggiungono il massimo vertice estetico. Anche la natura in Orissa offre alcune peculiarità rilevanti: basta citare il Chilika, il maggior lago salato d’Asia, una laguna di 1.100 kmq separato dall’oceano da una lingua di sabbia, che ospita delfini, pesci e crostacei e in inverno milioni di uccelli acquatici migratori provenienti fin dalla Siberia, come falchi pescatori, oche selvatiche, aironi, gru e fenicotteri.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in viaggi di scoperta in zone poco frequentate nel continente indiano, nel proprio catalogo “Alla scoperta dell’insolito” propone in Orissa un tour di 14 giorni dedicato alla visita dei principali monumenti, del lago Chilika e di alcuni mercati tribali in diversi villaggi adivasi. Partenze individuali settimanali con guide locali di lingua inglese e bimestrali per piccoli gruppi con voli di linea Air India o Lufthansa da Milano e Roma da ottobre a marzo 2014, guida esperta italiana, pensione completa in doppia nei migliori alberghi esistenti.