Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Quanti, certo per mancanza di conoscenza diretta, sostengono che il deserto è monotono e sempre uguale, per ricredersi dovrebbero visitare il deserto occidentale egiziano, o deserto libico, capace di occupare da solo i due terzi del paese, dal Mediterraneo al Sudan e dal Nilo fino e oltre il confine con la Libia. In questo angolo orientale di Sahara, una delle zone più vaste e aride della terra dove cadono meno di 5 mm di pioggia all’anno (contro una media di 100 nel resto del Sahara) e sconosciuta dalla carte geografiche fino a meno di un secolo fa, all’avvento dei mezzi meccanici, si trova infatti veramente di tutto. Ci sono ampie oasi, ricche di palme e di vegetazione mediterranea e con eloquenti resti archeologici risalenti dall’epoca egizia al medioevo, ospitate in enormi depressioni sotto il livello del mare con vasti laghi e sorgenti termali calde e fredde, disseminate di fossili marini, foreste pietrificate e resti di animali preistorici vecchi di milioni di anni. Qui si estende il Deserto Bianco, dove la geologia dà spettacolo, l’unico al mondo dove la sabbia sembra neve e surreali tenere rocce calcaree accecanti modellate dal vento in forme bizzarre emergono dal suolo. Alle spalle serpeggia Abu Muharek, un’unica duna lunga oltre 500 km (la più lunga del pianeta), una muraglia contigua di sabbia con pochissimi punti di attraversamento. Ancora più ad ovest, con sconfinamento in territorio libico, si estende il Gran Mare di Sabbia, una regione lunga 600 km e larga 200 interamente ricoperta da dune alte fino a 150 m di tutte le forme e dimensione, disabitata, completamente priva d’acqua e dove non cresce nemmeno un filo d’erba e anche le rocce sono rare.
Eppure, come attestano numerosi reperti litici, migliaia di anni fa quando il Sahara era verde questa zona era una savana con una ricca fauna selvatica. Si tratta di uno dei deserti più estesi e meno frequentato di tutto il Sahara, battuto dal violento vento khamasin e dalle sue micidiali tempeste di sabbia, evitato anche dalle carovane per la cronica penuria d’acqua. Parliamo dallo stesso luogo che nel 524 a.C., come ci testimonia lo storico Erodoto, inghiottì misteriosamente l’armata di 50 mila soldati dell’imperatore persiano Cambise diretta all’oasi di Siwa, dove non arrivò mai e di cui non è emersa finora nessuna traccia nonostante le intense ricerche. Durante l’ultima guerra mondiale italiani e tedeschi da una parte, inglesi ed egiziani dall’altra, lo attraversarono più volte per infiltrarsi dietro le linee nemiche. La totale aridità non consente la vita nemmeno ai nomadi con la loro misera economia di sussistenza, non ci sono più piste né wadi anche temporanei e anche l’antica rete idrografica qui risulta ormai cancellata dall’erosione. Un mondo quindi solo minerale, dove si può camminare per settimane e mesi non soltanto senza incontrare anima viva, ma neppure le tracce di pneumatici di visite precedenti, eppure in grado di offrire a quanti vi si avventurano rilevanti curiosità come il sito di Abu Ballas, un deposito di 3-400 giare e anfore utilizzate in tempi diversi forse come deposito idrico per spedizioni o carovaniere, vecchie di 4 mila anni le giare e di 2 secoli le anfore, oppure il Silica glass, ciottoli di vetro puro verdastro disseminati su un’area di 80 x 40 km, prodotti probabilmente dalla fusione del quarzo sabbioso dovuto al forte calore prodotto dall’impatto di un meteorite 28 milioni di anni fa.
Uno dei luoghi più belli e interessanti del deserto occidentale egiziano è sicuramente costituito dal Gilf el Kebir, un massiccio montuoso di arenaria lungo 100 km e largo 80, alto 1.000 m, situato nell’estremo sud non lontano dai confini con Libia e Sudan alla fine del Gran Mare di Sabbia. Inclinato verso oriente, presenta sulla sommità un pianoro ricoperto da dune, con il fianco occidentale formato da una falesia precipite alta 300 m e i lati sud ed est solcati da valli sinuose che si insinuano profondamente e presentano vegetazione. Scoperto soltanto nel 1909, venne esplorato parzialmente negli anni 20-30, ma restano ancora aree sconosciute. L’intensa presenza di reperti litici e di pitture e incisioni rupestri denota una intensa frequentazione umana in epoca preistorica 5-10 mila anni fa, forse protrattasi anche in epoca storica grazie alla maggior piovosità e alla vegetazione. L’esploratore ungherese Almasy ritenne di poter localizzare nel wadi Abd el Melik, la valle più lunga e verde, la mitica oasi di Zerzura citata da antichi testi arabi e cercata inutilmente da tutti gli esploratori di quest’angolo di Sahara. E’ la zona della Caverna dei Nuotatori, il celebre pannello con figure umane dalle forme sinuose intente a nuotare, un unicum nell’arte preistorica sahariana, magistralmente descritto nel romanzo e nel film Il paziente inglese.
A riprova di quanto questo massiccio possa nascondere ancora tesori sconosciuti, sta il fatto che nel 2002 due turisti torinesi vi hanno scoperto, a breve distanza dalla Caverna dei Nuotatori, un’altra cavità con centinaia di immagini dipinte che ritraggono figure umane, animali mitologici, cerimonie rituali con bovidi dalla testa mozzata, cacce a giraffe, struzzi e gazzelle, calchi rossi di mani in negativo e danze propiziatorie risalenti ad 8 mila anni fa. Un film che arriva dal passato, con interpreti che sembrano uscire dalle pareti, un vero capolavoro dell’arte rupestre sahariana definito dagli studiosi la Cappella Sistina della preistoria.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), unico in Italia specializzato da 30 anni in viaggi e spedizioni nei deserti di tutto il mondo, propone in Egitto una spedizione di 15 giorni dedicata all’esplorazione del deserto occidentale, con destinazione finale il Gilf Kebir. Uniche partenze per piccoli gruppi con voli di linea da Milano e Roma il 24 dicembre e 24 febbraio 2013, pernottamenti in alberghi e tenda con pensione completa, guida italiana. Nel deserto egiziano Viaggi Levi organizza diversi altri itinerari con durata da 8 a 11 giorni.