Testo di Luisa Chiumenti
Il Parco Nazionale del Pollino, tra il mare Jonio e il Mare Tirreno, penetrando nello “stivale” dall’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, in direzione Campotenese, fra Lauria nord e Lauria sud, in quel territorio verde, che rappresenta la più grande area protetta d’Italia ed è situato fra due Regioni (Basilicata e Calabria), tre Province (Potenza, Matera e Cosenza), e 56 comuni. Siamo in una tra le riserve protette più belle e grandi d’Europa e il paesaggio tutt’attorno, a seconda delle stagioni, appare ammantato dal candore della neve o esaltato dai colori vivi di una varietà straordinaria di fiori che, dal bianco, al giallo, al rosa, all’azzurro, ravvivano il verde dei prati e degli alberi e il grigio più o meno intenso delle rocce. Nei boschi del Pollino, oltre alle faggete, c’è un albero particolare , il Pino loricato, vero e proprio “fossile vivente”, che staglia nel cielo, sporgendosi spesso dagli speroni rocciosi, come dal Pianoro detto “belvedere”, i suoi rami dalle linee contorte, che tuttavia conferiscono maestosità al suo fusto robusto e solido. Si giunge al “Belvedere”, percorrendo la faggeta, che si apre in una serie di luminose radure, fino a trovarsi appunto su questa terrazza naturale (non costruita dall’uomo, ma soltanto utilizzata per qualche periodo quale pianoro di appoggio per una teleferica per il trasporto del legname) e ci si può affacciare a questa sorta di “balcone” roccioso e affondare lo sguardo sulle cime di fronte e sull’ampia valle del Coscile, dove sono presenti colossali esemplari di Pino loricato, che si abbarbicano, con le profonde radici, ai poderosi speroni di roccia. L’aquila reale, con i suoi oltre due metri di apertura alare, è presente nel territorio e, tra le fronde dei boschi si annida anche il gufo, mentre nel bosco corrono i caprioli e le lepri e vive il cinghiale, come la salamandra, il nibbio, lo scoiattolo e tante altre specie animali. Ma l’acqua è la linfa vitale del Parco, sia scrosciante nel limpido specchio formato dalla Sorgente del Mercure, sia spumeggiante,quando viene solcata dai gommoni degli appassionati di rafting, giù nelle gole attraversate dal fiume Lao. Ma da questo punto di vista il Parco offre molte possibilità a tutti, più o meno sportivi: così, in inverno è possibile godere di passeggiate serali con racchette da neve lungo un sentiero illuminato da fiaccole per giungere ad un rifugio immerso nella natura (cena a base di prodotti tipici e pernottamento e al mattino dopo colazione e passeggiata a piedi nel parco!).
Ma c’è anche la proposta del “trekking someggiato”, un modo “antico e nuovo” di muoversi a piedi accompagnati da un asino che trasporta il bagaglio! E poi naturalmente c’è un turismo equestre alla portata di tutti e, per l’inverno, la possibilità di utilizzare un lungo percorso per lo sci di fondo. Fattorie didattiche consentono inoltre ai ragazzi l’apprendimento della vita lavorativa nei campi e sulla montagna, accanto alla natura e agli animali, come i cavalli o le mucche che vengono per l’alpeggio , ogni anno dalla Calabria. Ma il Parco del Pollino riserva al visitatore anche scoperte naturali e archeologiche insieme, come quella della Grotta del Romito, che mostra testimonianze risalenti ad epoche lontanissime (ben 19.000 – 10.000 a.C.). Questo sito archeologico, che si trova a 14 km. dal centro abitato di Papasidero, venne scoperto nel 1961 e venne fatto oggetto di studi, ricerche e scavi da parte della Soprintendenza archeologica e di un gruppo di ricerca di Firenze. Il complesso appare costituito innanzitutto da un “riparo”, antistante la grotta vera e propria, che si estende per trentaquattro metri, in cui si notano diversi interessanti reperti litici ed ossei, e l’importante e raro graffito che rappresenta un bovide ( Bos-Primigenius 10800 a. C. circa), incisione rupestre di un metro e venti. All’interno della grotta si sviluppano poi le due sale che si estendono per circa venti metri. Qui si possono osservare, oltre alle sculture create dalla naturale azione dell’acqua, i diversi strati di scavo, che hanno restituito e continuano a restituire ossa umane e animali. Anche il centro storico di Papasidero ha notevole interesse; assai suggestivo nel suo impianto architettonico-urbanistico tipicamente medievale, deriva il nome da un abate, Papàs Isìdoros, forse padre Isidoro, capo del convento di Santo Stefano o S.Angelo. Queste sono solo alcune delle moltissime sorprese che il Pollino può riservare ad un visitatore che sia volta a volta attento alla Natura, allo sport, all’architettura, al paesaggio, alle tradizioni storiche e non basterà certo un unico viaggio!
Il Castello di Viggianello
Si giunge a Viggianello, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino Ricco di bellezze artistiche e naturalistiche, il centro storico di Viggianello offre al visitatore anche un complesso di memorie storiche, come di sottili tradizioni e affascinanti leggende. Un grande senso di ospitalità fa sì che il viaggiatore, davanti al grande camino acceso nel salone del castello (oggi raffinato ed accogliente Hotel a quattro stelle), si senta come nella casa di amici, a chiacchierare amabilmente con la gentile castellana, che, mentre eravate fuori a fare la vostra escursione ad alta quota, verso le vette del Pollino, vi aveva preparato i delicati suoi biscottini, da assaggiare sorseggiando un ottimo “fragolino”. Il castello, che occupa il crinale più alto del paese, è stato infatti restaurato dall’ ex sindaco del paese, il marito della attuale castellana, che ha trasformato ruderi fatiscenti, in un polo di ritrovo raffinato per ricevimenti e banchetti di prestigio per tutta la regione. Dal castello all’abitato che si adagia lungo il declivio del colle, con le sue stradine lastricate e i cornicioni delle case caratteristici nel mattone lavorato, la vista si immerge nello scenario rigoglioso del Parco, con una apertura molto ampia che alterna ondulazioni dolci e piccole valli, incorniciata dalle cime più alte del Pollino.Il Paese venera ancora riti antichissimi, come quello del ballo dei “cirii” e del “falcetto” e del “traino della cuccagna”. La festa dei cirii (covoni in legno addobbati), ricorda un rito legato al raccolto e alla fertilità dei campi e si incentra sul “ballo del falcetto” che i contadini inscenano con vivacità e durante il quale le donne, con il cirio sul capo, fanno ruotare il loro corpo fino allo stremo delle forza, al suono di ritmi tradizionali. E’ stata ripresa di recente anche la tradizione del “carnevale di paglia”, carnevale povero di matrice contadina; la tradizione vuole che venga eseguito una sorta di “processo al Carnilivaru i Pagghia”, un fantoccio di paglia che viene condannato al rogo per aver portato via ai contadini tutti i prodotti della terra. Si tratta in effetti di un carnevale perdigiorno che rapina i poveri, mandando in fumo ogni fatica e sacrificio dei contadini e finalmente catturato dai gendarmi, portato davanti al giudice, viene appunto condannato al rogo. Ma in occasione del carnevale in alcune frazioni, è possibile veder ballare la tarantella, accompagnata dalle armoniche e dalle nacchere ed anche il cupe-cupe (un altro strumento suonato in occasione della processione del Venerdì Santo è invece la troccola). Il traino della cuccagna, legato alla fertilità è invece un rito molto originale e inconsueto, che vede congiungere simbolicamente un abete ad un faggio e viene evocato solo a Viggianello tre volte all’anno: la settimana dopo Pasqua, l’ultima domenica d’agosto e la seconda di settembre.
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