Testo di Romeo Bolognesi
Qualcuno sostiene, subito eloquentemente smentito dai libri di scrittori-viaggiatori come Bruce Chatwin e Luis Sepulveda, che la Patagonia, appartenendo al novero di quelle terre mitiche, magiche fin dal nome e agognate da tutti gli amanti dell’avventura e dai turisti da poltrona, non possa essere descritta, potendo soltanto vivere emozionalmente di persona i suoi paesaggi selvaggi e gli scenari spettacolari che offre. A prescindere da questo parere, la Patagonia è una lunga striscia di terra spopolata, suddivisa dalle ultime propaggini meridionali della cordigliera andina tra Cile ad ovest e Argentina ad est ma con continuità geografica tra i due versanti, ad occupare l’estremo lembo inferiore del continente sudamericano. Le Ande, formate da rocce metamorfiche e vulcaniche, si spingono fino a 3-4.000 m di altezza con immense pareti verticali di tipo dolomitico quali Fitz Roy e Cerro Torre, sogno di ogni alpinista; il clima freddo e l’intensa precipitazione nevosa (fino a 25 m all’anno) determina il limite delle nevi perenni a soli mille metri di quota e produce enormi ghiacciai perenni, come quelli compresi nel parco nazionale cileno Torres del Paine (riserva della biosfera Unesco) e nel parco nazionale argentino Los Glaciares (sito Unesco), a formare la maggior distesa nivale dell’emisfero meridionale e la terza calotta glaciale continentale del pianeta.
I 13 diversi ghiacciai di quest’ultimo, come l’enorme Upsala (900 kmq) o lo spettacolare Perito Moreno (300), galleggiano letteralmente con i loro iceberg azzurri staccatisi dai fronti su vasti e frastagliati laghi come il Viedma (1000 kmq) e l’Argentino (1.560 kmq, cinque volte il Garda e profondo mille metri), circondati da foreste di faggi artici e conifere dove trovano riparo guanachi, puma, lepri, volpi e rapaci con la maggior concentrazione di condor. Il Perito Moreno è uno dei pochi ghiacciai della terra in espansione e non in ritiro, allargandosi ogni anno di 100 m. Ad oriente la Patagonia argentina degrada verso l’Atlantico con pianure steppiche semidesertiche aride e fredde, popolate da milioni di pecore al pascolo, la maggior risorsa locale, mentre ad ovest quella cilena chiamata Magallanes, più umida e piovosa, si presenta estremamente frammentata da fiordi e canali che penetrano assai all’interno formando ovunque isole e penisole e rendendone più facile la visita via mare che non via terra. Ancora più a sud di entrambe, e separata dallo stretto di Magellano, il continente si conclude con il frastagliatissimo arcipelago della Terra del Fuoco, grande come l’Irlanda, così nominata dal navigatore che la scoprì nel 1520 per la presenza di falò perennemente accesi dai selvaggi indios locali, ultima propaggine protesa verso l’Antartide.
Anche questo estremo lembo risulta amministrivamente diviso, seppur in parti non uguali, tra Cile (70 %) e Argentina. Fino all’apertura del canale di Panama (1914) la regione rivestiva notevole importanza per la navigazione marittima internazionale, mettendo in contatto attraverso lo stretto di Magellano, il canale di Beagle o Capo Horn, l’oceano Pacifico con l’Atlantico. Gran parte della montuosa Isla Grande risulta occupa dal parco nazionale Tierra del Fuego, il più australe in assoluto, occupato da distese di torba e boschi di faggio antartico dove si riparano piccoli mammiferi e uccelli marini, mentre nell’oceano nuotano balene, orche, pinguini e leoni di mare. Un luogo estremo da tutti i punti di vista, capace di regolare un senso di affascinante desolazione, con tramonti senza fine di luce radente e metallica su un mare d’inchiostro. Considerata l’estrema frammentazione della Patagonia cilena e della Terra del Fuoco, conviene compiere almeno una parte dell’esplorazione di questo territorio via mare, utilizzando le apposite navi turistiche da crociera e i gommoni per le visite a terra. Un interessante itinerario parte da Ushuaia, la città portuale più meridionale del pianeta e a 3.200 km da Buenos Aires, dalla quale visitare il parco della Terra del Fuoco, incredibilmente vario nei suoi aspetti paesaggistici, ricco di fauna e con stupende fioriture primaverili. In nave si raggiunge il mitico Capo Horn, la “fine del mondo” distante solo 700 miglia dall’Antartide, sogno e dannazione di ogni navigante per le terribili correnti e le spaventose tempeste, un promontorio verticale di 425 m che ospita una riserva della biosfera dell’Unesco. Si prosegue per Baia Wulaia, sede in passato del maggior insediamento di nativi Yamanas, dove nel 1833 il naturalista Charles Darwin esplorò la sua ricca vegetazione di piante endemiche.
Attraverso il fiordo De Agostini si raggiunge il ghiacciaio Aguilla, circondato da un bosco freddo-umido. Si passa quindi all’Isla Magdalena per visitare la colonia di 60 mila coppie di pinguini che vi risiede, oppure all’Isla Marta per quella di leoni di mare. Via terra si raggiunge il parco delle Torres del Paine, stupendi picchi granitici con pareti di 2.000 m a specchiarsi su laghi e lagune color smeraldo disseminati di iceberg di ghiaccio, tra boschi di faggi, fiumi e cascate. Scavalcando le Ande si arriva infine a El Calafate, villaggio western sull’enorme lago Argentino sul quale si affaccia con un fronte di 5 km e un’altezza di 60 m il ghiacciaio Perito Moreno; il frastuono prodotto dal continuo distacco di colossali blocchi celesti con cupi tonfi, poi naviganti sul lago come gli iceberg nei mari artici, costituisce uno degli imperdibili spettacoli offerti dalla Patagonia. Calafate è anche il nome di un arbusto assai diffuso, dalle cui bacche rosse si ricava una gustosa marmellata, divenuto simbolo della vegetazione patagonica.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in turismo culturale di scoperta geografica e naturalistica, propone come novità in Patagonia e nella Terra del Fuoco un percorso di 13 giorni, con crociera marina di 4 su una confortevole nave attrezzata. Partenze individuali settimanali da ottobre a fine marzo 2013 con voli di linea.