Testo di ANNA MARIA ARNESANO e Foto di GIULIO BADINI
L’India, settimo paese al mondo per dimensioni (grande 11 volte l’Italia) e secondo per abitanti (quasi un miliardo e 200 milioni, il 17,7 % di quella mondiale, destinato nei prossimi vent’anni a superare la Cina), costituisce un vero mosaico etnico e culturale, una babele linguistica (oltre 1.600 tra lingue e dialetti, nessuna ufficiale se non l’inglese) e un coacervo di religioni come nessuna altra nazione al mondo. In questo variegato caleidoscopio trovano posto anche 70 milioni di adivasi, il 7 % del totale, appartenenti a 450 gruppi tribali principali diversi tra loro per stirpe, origini, lingua, cultura, religione e modi di vita, sparsi un po’ in tutto il territorio. Gli adivasi, o primi abitanti, sono le popolazioni di aborigeni primitivi già presenti in India prima dell’arrivo degli ariani vedici e dei dravidi avvenuto attorno al 1500 a.C., spinti da questi ultimi e da tutti i successivi invasori a vivere relegati in zone marginali, povere di risorse e di non facile accesso, lontani dall’evolversi del resto del paese, riuscendo però in questo modo a mantenersi liberi e autonomi e, soprattutto, a conservare quasi ancora integri gli antichi costumi, le tradizioni e gli stili di vita. Una delle maggiori concentrazioni di adivasi si registra nell’estremo nord-est, in quel territorio grande quasi quanto l’Italia occupato per secoli prima dai birmani poi dagli inglesi dell’Assam, e dopo l’indipendenza frantumato in sette stati autonomi (i più noti Arunachal Pradesh, Assam e Nagaland), collegato alla madre patria solo da uno stretto corridoio tra nazioni confinanti. Le sue sperdute vallate, comprese tra le pendici himalayane e la fertile alta valle del Brahmaputra, uno dei maggiori fiumi asiatici, ospitano infatti ben un quinto di tutti gli adivasi indiani, che ne costituiscono una delle principali attrattive assieme ad un habitat naturale straordinario e incontaminato, con affascinanti paesaggi, un’enorme varietà di vegetali e animali e la metà della biodiversità indiana, tanto da farne uno dei segreti meglio custoditi dell’India e uno degli ultimi paradisi dell’Asia.
Frontiera calda, anzi bollente, quella del Nord-Est, pesantemente militarizzata per rivendicazioni territoriali da parte dei vicini (Bhutan, Tibet cinese, Myanmar e Bangladesh), violente richieste di indipendenza da parte dei locali e forti tensioni sociali per ingenti immigrazioni clandestine, tanto che per parecchi decenni è stato totalmente interdetto al turismo e oggi si può accedere soltanto ad alcune zone, con regole limitative e permessi speciali, da richiedere con almeno due mesi di anticipo. L’isolamento geografico e culturale plurimillenario di questa regione misconosciuta, carente di strade e di strutture turistiche ma di notevole fascino e interesse, ha preservato più o meno intatte parecchie decine di tribù di origine mongolica e lingue tibeto-birmane, ognuna diversa per prerogative peculiari ma al tempo stesso anche simili perché accomunate da molteplici denominatori condivisi. L’etnia più consistente, presente con diverse tribù in Arunachal Pradesh, Assam e Nagaland, è quella dei Naga, ripartita in diverse sottoetnie come i Nocte e i Wancho, un popolo fiero, autosufficiente e indipendente che si è sempre opposto strenuamente ad ogni dominio estraneo. Vivono solidali ed egualitari di agricoltura (soprattutto riso, mais e ortaggi) praticata su terreni comuni terrazzati, allevamento, caccia e pesca entro villaggi multifamiliari sulle cime in capanne di legno su palafitte adorne di sculture e trofei, guidati da un capo e da un consiglio di anziani. In genere monogami, non possono sposarsi all’interno del clan e le donne godono di pochi diritti; dopo la pubertà i figli vanno a vivere in dormitori comuni, separati per sessi, dove saranno istruiti al lavoro e alla vita sociale. La fedeltà diventa un valore soltanto dopo il matrimonio e per comunicare tra villaggi usano ancora grossi tamburi a forma di canoa rovesciata. Gli uomini vestono un semplice perizoma appeso ad una cintura vegetale, viso e corpo tatuati e con piercing, braccialetti d’avorio a braccia e gambe e complicati copricapi con denti di cinghiale e piume di uccelli, le donne – piuttosto attraenti – gonne corte e camicette colorate di cotone, vistosi scialli di lana di pecora essiccata, in testa una striscia colorata di stoffa con perline, parecchie collane e gioielli.
Crani umani decorano ancora le abitazioni perché i Naga, fino a tempi relativamente recenti coincidenti con la conversione al cristianesimo, erano degli accaniti cacciatori di teste (ma non cannibali), in quanto da animisti ritenevano che l’anima e le forze vitali risiedessero nella testa. Vantano una spiccata passione per la danza, la musica e il canto, espressioni che esibiscono ad ogni occasione e in particolare nei numerosi e frequentatissimi festival legati al ciclo agrario, momenti di esibizione, di socializzazione e di rafforzamento dei legami con gli altri clan, ma anche di autentico e genuino folclore. Sono anche artisti molto espressivi, soprattutto nella produzione di tessuti con disegni originali, assai apprezzati anche dai moderni stilisti di moda.
L’Assam costituisce la regione indiana più verde in assoluto, con le sue enormi piantagioni di tè, le risaie, le foreste e le palme da cocco; produce il 65 % del tè indiano e copre quasi l’intero fabbisogno petrolifero del paese. Ospita il parco nazionale Kaziranga, dove si registra la maggior concentrazione del rarissimo rinoceronte unicorno, presente con 1.500 esemplari assieme a tigri, elefanti, cervi, bisonti e uccelli acquatici, visitabile con fuoristrada e a dorso d’elefante. Degna di interesse anche l’isola di Majuli, la maggior isola fluviale al mondo, una striscia di sabbia di 886 kmq in mezzo al Brahmaputra, famosa per i suoi 22 monasteri hindi eretti nel 1400 per salvaguardare le arti dell’Assam, candidata a diventare un sito Unesco.
L’Arunachal Pradesh, le montagne baciate dal sole nascente, è lo stato montuoso nell’estremo nord, ai confini con il Tibet cinese; da sempre povero di strade, risulta molto militarizzato per le tensioni con l’ingombrante vicino, che nel 1962 ne invase un ampio tratto. Si presenta formato da altipiani solcati da profonde valli e ricoperto da rigogliose foreste ricche di orchidee. E’ lo stato indiano meno popolato e con più bassa densità, ma anche il più ricco di minoranze etniche adivasi; la visita ai loro villaggi costituisce davvero un salto indietro nel tempo. Il Tirap occupa la regione sud-orientale dell’Arunachal, al confine con il Myanmar.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in viaggi di scoperta ambientale e etnografica, propone un itinerario di tipo antropologico di 14 giorni tra le più significative popolazioni tribali dell’Assam e del Tirap, in occasione dei loro principali festival. Uniche partenze con voli di linea da Milano il 15 novembre 2012 e 6 febbraio 2013 (prenotazioni almeno due mesi prima), pernottamenti in semplici hotel, guest house e due notti in tenda con pensione completa, accompagnatore dall’Italia.