PAMELA MCCOURT FRANCESCONE
In un mondo ideale tutti gli elefanti vivrebbero allo stato brado. Liberi di girovagare nel loro habitat naturale alla ricerca di cibo e acqua senza particolari preoccupazioni. Se non fosse per l’uomo. L’elefante è il mammifero più grosso e possente della terra, ma l’avidità dell’uomo e i cambiamenti ambientali da lui provocati, hanno ridotto il numero dei pachidermi a poche centinaia di migliaia rispetto ai dieci milioni di un secolo fa. E la spietata caccia finalizzata al commercio dell’avorio ha contribuito ulteriormente a portare l’elefante a rischio di estinzione. Non è difficile addestrare un elefante e, a differenza di quello che può sembrare, nonostante la sua mole è dotato di una estrema agilità. Ciò ha portato ad uno sfruttamento spietato da parte dell’uomo per svolgere mansioni redditizie soprattutto il logging, l’abbattimento degli alberi e lo spostamento dei tronchi. Nel 1989 in Thailandia è entrato in vigore una legge che vieta l’utilizzo degli elefanti per il logging e lavori simili. Una legge equanime (il lavoro era molto faticoso e spesso gli animali venivano maltrattati) che presto però si è rivelato un’arma a doppia taglio perchè gli animali, insieme ai loro addestratori, si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro e senza sostentamento.
Cosa può fare un elefante per sopravvivere? E il suo fedele mahout? Molti sono finiti nelle strade trafficate di Bangkok, Chiang Mai e Pattaya. Infatti, dopo l’introduzione della legge molti mahout si sono trovati costretti a portare gli animali nelle città dove girovagavano chiedendo soldi ai turisti per scattare qualche foto o vendendo loro la canna da zucchero che poi veniva offerta agli animali. Ma siccome un elefante mangia anche 150 chili di vegetali al giorno guadagnare abbastanza per mantenerlo non era un’impresa facile. Tanti animali, soprattutto quelli più piccoli, sono finiti nei bar di Pattaya e Bangkok, protagonisti di spettacoli per turisti. “Il turismo è di fondamentale importanza per la sopravvivenza degli elefanti in cattività, soprattutto in Thailandia dove ce ne sono circa 3.500,” dice John Roberts, direttore del Golden Triangle Asian Elephant Foundation di Chiang Rai. Un tipo di turismo che rispetti l’elefante e gli permetta di svolgere mansioni dignitose tali da garantire agli animali e ai loro addestratori uno stile di vita comodo e senza stenti. “Noi abbiamo comprato i nostri 32 elefanti che vivono, insieme ai loro mahout, in 65 ettari di giungla all’interno dell’Anantara Resort Golden Triangle, a due passi dai confini con il Laos e il Myanmar” spiega John.
E’ stato in gran parte grazie alla Fondazione, nata in collaborazione con l’organizzazione statale Thai Elephant Conservation Centre e che lavora in simbiosi con l’Anantara Golden Triangle e il Four Seasons Tented Camp Golden Triangle, che l’equilibrio storico è stato rovesciato: l’uomo alleato e non più antagonista dell’elefante. “L’elefante più anziano del campo ha più di 50 anni, e il più piccolo ha cinque mesi. Il ruolo del mahout è fondamentale. E’ lui che assicura che il suo elefante abbia abbastanza da mangiare ed è lui che ha la responsabilità della salute dell’animale. La maggior parte dei mahout provengono da due gruppi etnici. I Kui che sono originari dalla regione vicina al confine con la Cambogia, e i Garieng che vengono dal Myanmar e dalla regione di Chiang Mai. Quasi tutti i nostri mahout sono Kui e negli anni sono cambiate le tecniche di addestramento, oggi i metodi usati sono meno severi e più persuasivi che nel passato”.
Nel campo della Fondazione gli elefanti interagiscono con i visitatori che possono fare passeggiate a dorso d’elefante e partecipare al lavaggio quotidiano dei pachidermi. E’ anche possibile fare corsi di 2 o 3 giorni per “diventare” mahout; un’esperienza avvincente che permette di imparare le mosse basiche usate dai mahout, di apprendere le loro tradizioni che vengono tramandate da generazione in generazione, e di apprezzare il ruolo dell’elefante nella natura. E’ persino possibile cenare a lume di candela nelle zone “camera da letto” dei più piccoli, nella speranza di osservarli mentre dormono. La Fondazione è anche coinvolta in alcuni progetti per studiare attività alternative ed innovative. “Noi non abbiamo elefanti che dipingono,” dice John, “ma non vedo niente di male in questa attività. L’elefante è un animale gregario e curioso, e ama stare in compagnia dell’uomo.” “Attualmente collaboriamo con uno studioso statunitense Josh Plotnik, psicologo alla Emory University di Atlanta, per studiare come gli elefanti possono partecipare maggiormente ai lavori di squadra e di quali comportamenti cognitivi siano capaci”. Plotnikè lo studioso che ha dimostrato che l’elefante è capace di riconoscersi allo specchio. Qualche anno fa ha fatto il giro del mondo la foto di un elefante di fronte ad uno specchio, che tocca con la proboscide una macchia bianca applicata sul suo sopraciglio, una parte del corpo visibile unicamente allo specchio.
“Attualmente sponsorizziamo un altra iniziativa interessante”, ha spiegato John. “Si tratta di un progetto, condotto da un gruppo di studiosi all’Università di Chiang Mai mirato ad approfondire l’interazione tra i grandi pachidermi e i bambini autistici”. Durante tre settimane sono stati messi a confronto alcuni bambini autistici ed alcuni elefanti, permettendo ai bambini di socializzare con i pachidermi, dandogli da mangiare, lavandoli e curandoli. I risultati, secondo gli studiosi di Chiang Mai, sono stati molto incoraggianti. Infatti nei ragazzi che hanno partecipato al progetto sono stati riscontrati notevoli miglioramenti nei livelli di elaborazione sensoriale, controllo posturale e capacità relazionali. “Questa”, conclude John, “potrebbe diventare una nuova attività per l’elefante, non dimentichiamo che il turismo è sovente un settore capriccioso”.
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