Testo e Foto di TERESA CARRUBBA
Turchia. Ponte naturale fra Oriente e Occidente, crocevia essenziale tra il Continente asiatico e l’Europa. E’ qui che i flussi della storia hanno lasciato una quantità incredibilmente ricca di tracce archeologiche ed architettoniche grazie alle quali quasi tutte le principali matrici del mondo classico sono presenti e convivono nella perfetta armonia unitaria del contrasto: capolavori dell’ellenismo accanto a quelli dell’arte islamica, splendidi monumenti romani accanto a possenti mura e fortezze di stampo asiatico, preziose basiliche bizantine accanto a imponenti moschee musulmane. Possiamo così trovarci a visitare luoghi dai nomi mitici come Troia cantata da Omero, o Tarso dove visse San Paolo, Smirne, Efeso o Mileto, Pergamo o Antiochia, ed estasiarci di fronte alla bellezza degli stadi e dei teatri romani di Aphrodisias, Perge e Aspendo. Il fascino segreto della Turchia consiste appunto in questa copiosa varietà di espressioni delle civiltà più diverse, che proprio nelle differenze trovano il loro punto di fusione e di sintesi. Del resto, non solo dal punto di vista dell’architettura antica, il viaggio attraverso la Turchia è un continuo succedersi di contrasti.
Ne troviamo di straordinari nel paesaggio che cambia in poche ore se dalle coste frastagliate dell’Egeo o del Mar Nero, dove il mare ha quel bel colore brillante che appunto si chiama turchese, ci si addentra verso il cuore dell’Anatolia superando catene di montagne coperte da nevi perenni e raggiungendo gli altipiani centrali o i villaggi trogloditici della Cappadocia. E non è detto che questo viaggio debba necessariamente esser vissuto soltanto come un’avventura nella memoria storica. La Turchia offre attrattive anche sul piano del puro relax, dalla splendida costa mediterranea fino alla singolare stazione termale di Pamukkale con le sue caratteristiche cascate pietrificate a forma di gigantesche canne d’organo e conche di acqua calda terapeutica. Qui è anche possibile nuotare nella piscina romana, tra colonne e capitelli immersi nell’acqua.
ISTANBUL
Istanbul. Il Corno D’oro la divide in due. A sud, fra il Corno e il Mar di Marmara, si trova la parte antica, con tutti i monumenti più famosi, Santa Sofia, le grandi moschee, il Palazzi del sultano, le Cisterne, il Bazar. Al nord, tra il Corno e il Bosforo, la città moderna, il quartiere di Beyoglu con la vasta piazza Taksim, i negozi eleganti delle arterie principali, i teatri, gli alberghi. Le due parti sono collegate da tre ponti, tra cui il Ponte Galata quasi allo sbocco del Bosforo, centro brulicante della vita cittadina. A Istanbul il traffico è pittoresco e caotico. Dovunque s’incrociano auto di grossa cilindrata, camion, pullman di turisti, carretti a cavallo, e una marea di gente che attraversa dove vuole, fra continui suoni di clacson. Tutti sono perennemente indaffarati, uomini stracarichi di mercanzia, ragazzini che nelle ore libere dalla scuola vendono per strada lucide ciambelle di pane infilate in un bastone o tè caldo tenendo in mano un vassoio con i classici bicchierini svasati. E ancora, donne con lo scialle nero, altre col tipico soprabito azzurro, lungo e abbottonato, altre ancora vestite con colorati abiti europei. Nessuna più porta il velo, che venne “sconsigliato” settant’anni fa da Ataturk, così come nessun uomo porta più il fez, sempre per la proibizione, in questo caso esplicita, di Ataturk.
Di solito, la prima tappa è Santa Sofia. Dedicata non a una santa ma alla Divina Saggezza (Sophia, in greco), venne fondata da Giustiniano imperatore nel VI secolo, e dopo essere stata chiesa cristiana e moschea musulmana, fu trasformata da Ataturk in museo. Santa Sofia è considerata uno dei capolavori dell’architettura di tutti i tempi per la sua struttura grandiosa culminante nella splendida cupola alta più di 50 metri. Giustiniano non era uomo da badare a spese, e fece trasportare a Costantinopoli (com’era chiamata allora Istanbul) colonne, marmi, sculture, da tutto l’Impero: si vedono ancor oggi in Santa Sofia colonne di marmo verde provenienti dal tempio di Artemide a Efeso, altre di porfido dal tempio di Giove a Baalbek in Libano, ed altre di granito dall’ Egitto. Magnifici i grandi medaglioni con iscrizioni coraniche appesi alle pareti, otto, più che in tutte le altre moschee. Purtroppo molti mosaici andarono distrutti al tempo della lotta iconoclastica, altri invece si salvarono sotto una mano di calce, e furono riscoperti nel secolo scorso. E’ la grandiosità dell’insieme a dare un’impressione indelebile.
Altrettanto forte l’emozione che offre la splendida Moschea del Sultano Ahmet, meglio conosciuta come Moschea blu. Un grandioso insieme di cupole (quella centrale misura 33 metri di diametro), che poggia su quattro colonne massicce, ma reso incredibilmente leggero dalle 260 finestre, e dalla decorazione di piastrelle di ceramica azzurra che ne riveste completamente l’interno e le dà il nome. Altra caratteristica che rende unica la moschea Blu è la presenza inusuale di sei minareti. Capolavoro sotterraneo di Istanbul è la Cisterna Yerebatan Sarnici, fatta costruire da Costantino come deposito idrico, con 336 colonne corinzie a sorreggere magnifiche volte di mattoni. Già dal primo impatto la suggestione è fortissima, amplificata dalle luci rossastre che riflettono nell’acqua l’atmosfera dei numerosi filari di colonne. Discorso a parte merita il mitico Palazzo Topkapi, residenza dei sultani per quattro secoli e centro del grandioso impero ottomano. La preziosità dei padiglioni, l’harem, le raccolte di abiti da cerimonia e le sacre reliquie dell’Islam culminano nello sfarzo del Tesoro, con oggetti strabilianti come il mitico diamante di 86 carati e il pugnale Topkapi, con tre enormi smeraldi.
Dai sultani al popolo, dal Topkapi al Gran Bazar. Il Bazar di Istanbul è immenso, un dedalo di corridoi su cui si affacciano centinaia di negozietti, con l’aria stemperata dall’essenza di vaniglia e di cumino, tra banchi che offrono montagnole di pistacchi e dolcissimi loukoum, crocchi di uomini con il rosario arabo in mano, dappertutto gente che porta sacchi, mercanzia, in un continuo e instancabile trafficare.Che cosa comprare? Ceramiche, oggetti di rame e di ottone, onici, alabastri, tutti i lavori dell’artigianato turco. Giacche di montone, articoli di pelle e, naturalmente, tappeti. C’è da dire, ad onor del vero, che qualcosa è cambiato rispetto al passato. Intanto i prezzi. Salvo qualche eccezione, in cui si parte da cifre basse ed è ancora consentito trattare, la maggior parte dei mercanti, qui, gioca al rialzo. Cifre inaspettate per qualsiasi mercanzia e senza possibilità di sconti. Inoltre, l’artigianato vero si è ormai infarcito di banali imitazioni di firme internazionali a prezzi davvero ingiustificati. Per fortuna il fenomeno è ancora limitato.
Da Istanbul, vale la pena fare l’esperienza della gita in battello sul Bosforo. Scorrono davanti agli occhi le belle case di legno del secolo scorso, costruite proprio sulla riva, che ospitavano ambasciate e visitatori illustri; molte sono state finemente restaurate e sono abitate ancora oggi. Il giro in battello è piacevole, gremito di una folla allegra; a bordo si beve continuamente il tè, si mangiano ciambelle e una sorta di wafer a forma di doppio disco farcito di cremina.
sul Bosforo
IZMIR
Smirne, l’odierna Izmir, è la terza città della Turchia, dopo Ankara e Istanbul ed è anche il principale porto del Mar Egeo. Una città viva e caotica che sembra celare l’antichissima origine (viene indicata tradizionalmente come la patria di Omero). Dell’antica città è rimasto ben poco: una parte dell’agorà, la piazza principale, con colonne e portico, un ricco museo archeologico con le statue di Poseidone, Demetra e Artemide provenienti dall’agorà, sarcofagi ed altri reperti. Ben altra atmosfera troviamo invece a Pergamo. La sua erede, la moderna città di Bergama, non ha inghiottito la parte archeologica, almeno la più importante. Qui esisteva una biblioteca con 200 mila volumi, che poi Antonio trasferì ad Alessandria d’Egitto per compiacere Cleopatra. Sulla collina dominante, gli imponenti ruderi dell’acropoli. Anzitutto il teatro, che poteva ospitare diecimila spettatori, con gradinate suggestivamente digradanti verso valle. Poi i templi di Traiano, Demetra, Era, l’altare di Zeus (oggi ricomposto nel Pergamon Museum di Berlino), la biblioteca, le due agorà,inferiore e superiore, i ginnasi. Pergamo, tra l’altro, ha dato al mondo e alla cultura, la pergamena, fatta con pelle conciata di ovini.
di Pamukkale
A valle sorgeva un famoso istituto terapeutico, frequentato, tra gli altri, dagli imperatori Adriano, Marco Aurelio e Caracalla. Era l’Asclepieion, dedicato ad Asclepio (per i Latini Esculapio), il dio della medicina. Più che un ospedale, era un centro per il benessere, le cure a base di bagni, massaggi, ginnastica, diete; con un pizzico di psicanalisi ante litteram, perché le terapie venivano prescritte dopo un approfondita anamnesi del paziente e l’interpretazione dei suoi sogni. Oggi l’Asclepieion, con i suoi lunghi colonnati, i resti della biblioteca, del teatro, del tempio, costituisce una meta di grande suggestione. Vi si giunge percorrendo la via Tecta, monumentale.
EFESO
La prima delle città dell’Apocalisse citate da Giovanni, è la prediletta Efeso. Fu uno dei maggiori centri dell’antichità, in epoca romana raggiunse i 300 mila abitanti, ed era il centro del culto di Artemide, identificata dai Romani con Diana cacciatrice. Qui sorgeva un grandioso santuario dedicato a questa divinità, magnifico al punto da esser considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. Tuttavia aveva caratteri peculiari, persi nella trasposizione romana. Figlia di Zeus e Latona, sorella di Apollo, a Efeso veniva raffigurata con la testa coperta da un moggio cilindrico e con un busto polimastide, cioè con numerose mammelle. Simboleggiava la Luna ed anche il ciclo della fecondità femminile, così misteriosamente legato nei tempi con le fasi lunari. Vergine, proteggeva le gravidanze e veniva invocata dalle partorienti.
E’ singolare come il culto di questa Grande Madre sarebbe stato qui soppiantato, forse non del tutto casualmente, da quello di un’altra Vergine, la Madonna, come vedremo. Oggi del celebrato santuario non resta che uno spiazzo costellato di ruderi ed una colonna rifatta mettendo assieme frammenti spezzati e risollevata. Grande ed importante era dunque Efeso, luogo cruciale per la diffusione del cristianesimo e la cancellazione degli dei pagani. Tanto che Giovanni non solo le dedicò l’ “Apocalisse” con priorità assoluta, ma vi si recò di persona lasciando Patmos, dove era finito in esilio. Quando Giovanni si recò a Efeso, era ormai vecchio. Ma l’apostolo era già stato qui in altri tempi, portando con sé la Madonna affidatagli da Gesù. Ad Efeso Maria avrebbe vissuto gli ultimi anni e vi sarebbe morta. Ipotesi dapprima contestata, ma poi suffragata da Paolo VI , Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, qui venuti a pregare nella casa di Maria.
Oggi Meryem Ana Evi, cioè la Casa di Madre Maria, è un luogo di pellegrinaggio e di culto, per i cristiani ma anche per i musulmani. All’interno c’è un altare e sopra, in una nicchia, una statua di Meryem Ana; alle pareti qualche quadro devozionale, un recente frammento di affresco in stile antico, ex voto. Nei pressi, un negozietto di ricordini sacri. E la statuina della Madonna che ci portiamo via, piccola copia di quella venerata in loco, tiene le braccia abbassate sui fianchi ma sporgenti in avanti, con i palmi aperti. Più o meno l’atteggiamento che aveva l’antica divinità qui venerata, la vergine polimastide Artemide.
Efeso sorse nel secondo millennio a.C., fondata dai Greci. Nel 17 d.C. la città fu devastata da un terremoto. L’imperatore Tiberio ne avviò la ricostruzione e i successori Domiziano, Traiano e Adriano, tra il I ed il II secolo, si prodigarono per abbellirla. Gli impressionanti resti archeologici che oggi si possono ammirare risalgono a quell’epoca. Giustiniano, imperatore d’Oriente (527-565), ne trasferì il centro nei pressi della basilica di San Giovanni, in una zona sopraelevata da lui ricostruita e così sulla zona monumentale ellenistico-romana cadde a poco a poco l’oblìo. La prima basilica era stata eretta nel IV secolo sul luogo dove, secondo la tradizione, sarebbe stato sepolto l’apostolo. Ma l’edificio di cui oggi possiamo visitare le imponenti testimonianze è quello bizantino. Poi Efeso vide una fioritura islamica e la basilica fu trasformata in moschea distrutta da un terremoto verso la fine di quel secolo. Quello che oggi vediamo è il frutto di scavi archeologici e di restauri svoltisi a partire dagli anni Venti del Novecento.
Aggirandosi tra queste scenografiche rovine, dinanzi a noi si apre la via dei Cureti, sacerdoti, che discende con il suo elegante lastricato delimitata da frammenti di statue e colonne, pilastri con cariatidi ed omenoni. Dalla tomba di Memmio ci guardano figure sepolcrali. Più in là la fontana di Traiano, un tempo alta dodici metri e popolata di statue (quelle superstiti oggi sono al museo), ricostruita con tronchi di colonne, capitelli corinzi e un timpano sovrastante. E ancora, il tempio di Adriano, di cui è stato restaurato il pronao, con colonne reggenti un arco, preceduto dai basamenti di quattro statue. Monumento di eccezionale valore, dietro cui si possono scorgere i ruderi del lupanare e delle terme di Scolastica.
Ma un palazzo spettacolare ci attende in fondo alla strada: è la biblioteca di Celso, eretta tra il 114 e il 135 in onore di Tiberio Giulio I. Il Celso Polemeano, governatore dell’Asia alcuni anni prima. Un meticoloso restauro ha ripristinato la facciata, a due piani, ciascuno con otto colonne sorreggenti frontoni e trabeazioni riccamente decorati; nelle nicchie al piano terreno quattro statue (copie, le originali si trovano a Vienna) raffiguranti le doti di Celso: sophia (saggezza), episteme (sapienza), arete (virtù), ennoia (pensiero). Nell’abside interna si trovava la statua di Celso, oggi esposta al museo archeologico di Istanbul.
Ma ciò che fa di Efeso qualcosa di eccezionale, paragonabile a Pompei, sono alcune case poste sulla sinistra della biblioteca, arrampicate sul pendio del colle Bulbul: probabilmente dimore di gente benestante, erette in epoca augustea, con pianta analoga a quelle di Pompei, cioè una serie di stanze poste in quadrato ed affacciantisi su un peristilio, cortile porticato interno. Alle pareti affreschi, in parte conservati, con figure umane, tra cui Eros reggente una corona, Dioniso ed Arianna, e riquadri di colore simile al rosso pompeiano. Archeologi e restauratori sono tuttora all’opera per ricostruire gli ambienti.