Testo di ANNA MARIA ARNESANO e Foto di GIULIO BADINI



Il termine Via della Seta, coniato nel 1909 da un geografo tedesco, ci fa pensare a viaggi avventurosi di carovane cariche di merci esotiche – a cominciare proprio dal prezioso tessuto – che nell’antichità consentivano traffici commerciali e scambi di prodotti tra l’estremo Oriente e il bacino del Mediterraneo, mettendo in contatto mondi sconosciuti e civiltà assai diverse.  In realtà si dovrebbe parlare di vie al plurale, in quanto in un lasso di tempo lungo oltre un millennio e mezzo e su una distanza superiore ai 7 mila chilometri, non esisteva un unico itinerario, bensì un’intricata rete di percorsi che copriva tutta l’Asia, e che se riusciva a spostare merci da un estremo all’altro, serviva anche egregiamente per muovere cose, uomini e idee all’interno del continente stesso, ad esempio tra sud e nord, oppure nei suoi tratti mediani. Ecco perché nessuno è mai riuscito a stabilire un percorso univoco della Via della Seta. Quello che sappiamo per certo è che la produzione di stoffe di seta nacque nella Cina sud-orientale almeno nel 2.700 a.C. Per alcuni millenni i cinesi riuscirono a mantenere il segreto sul processo di produzione, poi dovettero accontentarsi di mantenerne il monopolio, cosa che hanno in parte ancora oggi con l’ 82 % della produzione mondiale. Già nel IV° sec. a.C. la seta era nota in Occidente, tanto che Greci e Romani chiamavano Seres la Cina, cioè paese della seta.  Nella Roma repubblicana e imperiale questo tessuto divenne ben presto un vero status symbol della nobiltà, tanto da pagarlo a peso d’oro. I due grandi imperi dell’epoca cercarono più volte di stabilire un contatto diretto, senza però mai riuscirvi a causa della rilevante distanza e delle difficoltà che si frapponevano ad un così lungo viaggio.  Difficoltà che riuscivano invece a superare le merci, grazie al tornaconto economico dei mercanti.  



 

Attorno al 550 i primi bachi giunsero a Costantinopoli, ma l’interscambio continuò intenso ancora per secoli, perché oltre ai tessuti viaggiavano da est ad ovest anche lacche, porcellane, spezie e tè, mentre in senso inverso andavano altre spezie, profumi, pelli, metalli, medicinali, oro, perle, diamanti, coralli e vetri. E assieme alle merci viaggiavano anche idee, conoscenze e tecnologie. Su quelle rotte polverose  attraverso montagne, fiumi, steppe e deserti si mossero eserciti, ma anche fedi, come zoroastrismo, manicheismo, nestorianesimo, buddismo, taoismo e islam. Tanti fili sottili ma tenaci che legarono tutto il mondo di allora, in una globalizzazione ante litteram di prodotti, uomini e acquisizioni. Ovviamente non era la stessa carovana a portare le merci da Xi’an in Cina ad Antiochia in Siria: queste cambiavano padrone, mezzo di trasporto, prezzo e itinerario mille volte, ma alla fine giungevano sempre a destinazione, dopo un viaggio periglioso che non poteva durare meno di 8 mesi. E a trasportarle si alternavano buoi, yak, cavalli, muli, cammelli e dromedari, in una immaginabile babele di lingue. Lungo questi percorsi mercantili sorsero oasi, mercati, fortezze, caravanserragli e città, e con il benessere economico indotto fiorirono anche durature civiltà. Tutto questo ben di Dio terminò attorno al 1300, quando i minori costi del trasporto marittimo e l’insicurezza nell’Asia centrale dopo il crollo della pax mongolica decretò la fine dei commerci transcontinentali lungo la gloriosa Via della Seta, appena poco dopo i racconti lasciatici ne Il Milione da Marco Polo. Un oblio che solo a partire dall’inizio del 1900 l’archeologia sta tentando di riportare in luce.



 

L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi “ (tel.02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specialista in itinerari culturali nei deserti di tutto il mondo, nel proprio catalogo “Deserti” propone per grandi viaggiatori una spedizione di 17 giorni lungo il tratto più orientale della Via della Seta, quello meno conosciuto e frequentato da noi occidentali, attraverso le estreme regioni nord-occidentali della Cina (Gansu, Mongolia Interna e Xinjang). Punti forti dell’itinerario lo sperduto altopiano del Gobi-Alashan con l’impenetrabile deserto di Badan Jilin, caratterizzato da montagne di sabbia con dune alte fino a 500 m che incastonano come gemme numerosi laghi. Le antiche piste carovaniere passavano ai margini dell’Alashan, non osando affrontarlo. Con una spedizione in fuoristrada si raggiungeranno le rovine della mitica Khara Khoto, la “città nera” capitale del regno perduto dei Tanguti, assediata dai mongoli di Gengis Khan e ora inghiottita dal deserto. Il viaggio prosegue con la visita delle grotte buddiste di Yulin e Dunhuang e si conclude presso l’oasi di Turpan con le città morte di Jaohe e Gaochang e il miscuglio etnico di Urumqi, dove convivono uyguri, kazaki, pakistani, russi, cinesi e mongoli.. Uniche partenze da Milano e Roma con voli di linea Lufthansa il16 giugno, 7 luglio, 6 agosto e 15 settembre 2011; la quota da 4.480 euro comprende voli, percorso in fuoristrada con esperta guida italiana di lingua cinese, pernottamenti nei migliori alberghi esistenti con pensione completa e tre notti in tenda.