Testo di ANNA MARIA ARNESANO e Foto di GIULIO BADINI
Un viaggio in Birmania, una delle nazioni più estese (grande oltre due volte l’Italia), intatte e sconosciute del Sud-Est asiatico, come pure la meno occidentalizzata in quanto solo di recente ha aperto le sue frontiere al turismo, finisce per trasformarsi essenzialmente in un itinerario tra le centinaia di migliaia di pagode, stupa, templi e monasteri di ogni epoca e dimensione, disseminati in ogni dove. Non perché questa terra, di antica ed elevata civiltà, non abbia altro da offrire al visitatore. Tutt’altro. Si da però il caso che la Birmania – o meglio il Myanmar, nuovo nome adottato dal 1988 – sia il paese dove risulta maggiormente radicata e diffusa la religione buddista di tradizione theravada, considerata la più pura e rigorosa, capace di permeare ogni attimo e ogni gesto della vita dei suoi abitanti, tanto che ogni birmano è stato o sarà monaco almeno per un breve periodo della propria esistenza. Non deve quindi sorprendere il fatto di trovare pagode un po’ ovunque, tutte amorevolmente curate dai fedeli che aspirano ad acquisire in questo modo benemerenze per la vita futura, anche perché quella attuale non ha da offrire particolari gratificazioni, fino ad essere in parecchi casi interamente ricoperte da lamine d’oro. Una nazione piena di apparenti contraddizioni: una popolazioni tra le più povere in assoluto, ma con tonnellate di metallo prezioso sui tetti dei templi, un popolo cui il buddismo ha insegnato la mitezza ma che tollera di essere governato da mezzo secolo da un’aggressiva e spietata giunta militare che obbliga i prigionieri politici ai lavori forzati, una terra di grandi tradizioni artistiche e culturali ferma e immobile in un presente senza tempo e senza prospettive, con un’opposizione democratica in perenne bilico tra la rivolta armata e la rassegnata resistenza passiva ghandiana.
Centro vitale del paese è l’Irrawaddy, il grande fiume che l’attraversa da nord a sud in tutta la sua estensione e navigabile per 1.600 km; lungo le sue sponde è nata e si è sviluppata una cultura che ha radici antichissime e che sopravvive pressochè immutata ancora oggi rendendo – non si ancora per quanto – la Birmania una nazione fuori dal mondo, immersa in una dimensione che pare irreale tanto risulta lontana dai nostri ritmi e dai nostri parametri. Una nazione estremamente varia dal punto di vista ambientale, per metà ancora ricoperta da foreste, che spazia dalle regioni montuose del nord – ultime propaggini orientali dell’Himalaya – con cime superiori ai 5.000 metri, fino a canali, lagune e spiagge incontaminate affacciate sul golfo del Bengala e sul mare delle Andamane. Ma soprattutto varia dal punto di vista umano, raggruppando non meno di una settantina di gruppi etnici, ciascuno con la propria storia, le tradizioni ed i costumi, mantenuti più o meno intatti fino ad oggi. Come le gote dei bambini e delle ragazze ricoperte da un fango giallo per proteggerle dal sole e dagli insetti, e le donne di ogni età che fumano sigari smisurati.
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilvi.it), specializzato in itinerari etnografici e culturali, nel proprio catalogo “Deserti” propone in Myanmar un percorso di 15 giorni dedicato alla scoperta delle antiche capitali, capace di offrire al tempo stesso un eloquente spaccato sul paese e sui suoi peculiari stili di vita da parte delle diverse etnie che lo abitano. L’itinerario parte dall’attuale capitale Yangon, chiamata fino a ieri Rangon, città portuale fluviale dominata dall’imponente mole della Shwedagon pagoda, lo stupa più grande e famoso del mondo che contiene otto capelli del Budda, alto 91 metri e interamente ricoperto d’oro e pietre preziose, un monumento d’arte e di fede che da solo giustificherebbe un viaggio. In volo si raggiunge Bagan, prima capitale dell’impero birmano saccheggiata nel 1287 dai mongoli di Kublai Khan, per visitare ciò che resta dei 4.400 templi di una volta, considerati una delle aree archeologiche più ricche e importanti dell’Indocina, e quindi Mandalay, ultima capitale imperiale e centro della cultura e dell’artigianato birmano, come anche del sapere buddista.
Sempre in volo si arriva ad Helo, ai confini con la Thailandia, per visitare il lago Inle, affascinante per le costruzioni erette su palafitte, i mercati in barca e gli orti galleggianti coltivati sull’acqua, dove la vita del popolo intha si svolge su canoe ad un remo spinte con un braccio ed una gamba. Ultima tappa aerea Kengtung, capoluogo dello stato Shan, regione montuosa al confine con Laos, Thailandia e Yunnan cinese conosciuta anche con il nome di “Triangolo d’Oro” per l’intensa coltivazione di papavero da oppio, dove si visiteranno alcuni villaggi delle diverse etnie, ciascuna con abiti e usanze peculiari.
Partenze mensili di gruppo con voli di linea Qatar Airways via Doha da Milano e Roma fino ad aprile 2011, tour in minibus con pensione completa in hotel di buon livello, guida di lingua italiana, quote da 2.540 euro.