Testo di ANNA MARIA ARNESANO e Foto di GIULIO BADINI



Nel cuore della Turchia,nell?Anatolia centrale, si estende la regione della Cappadocia, uno dei paesaggi più singolari della terra e per questo protetto dall?Unesco come patrimonio dell?umanità, definito uno straordinario concentrato di natura, storia, arte e religione. Il suolo tufaceo di questa zona collinare ad oltre mille metri di altitudine si presenta infatti letteralmente disseminato da una miriade di spuntoni e creste di roccia, pinnacoli a cono, monoliti a colonna, piramidi e guglie, canyon, dune di pietra modellate in maniera incredibilmente bizzarra, tanto da sembrare opera di un artista possente quanto geniale ed estroso, capace di plasmare a proprio piacimento le forze della natura. L?effetto scenografico risulta oltremodo suggestivo: alle mille forme curiose si aggiungono infatti i diversi colori della roccia,  sfumanti dal bianco al grigio, dal giallo al rosa fino al rosso cupo. Anche se a prima vista può sembrare strano, questa overdose di meraviglie, questo paesaggio da fiaba che pare calato da qualche lontano pianeta e noto con il poetico nome di camini delle fate, ha una spiegazione scientifica. Milioni di anni fa alcuni vulcani ora inattivi disseminarono su una vasta area ceneri e fanghi lavici, che una volta pressati la lenta azione demolitrice di acqua e vento ha poi eroso in maniera selettiva a seconda del loro grado di compattezza e di resistenza.


Ma la Cappadocia non è soltanto un concentrato di meraviglie geologiche. L?uomo ha infatti colto ben presto la sacralità connaturata a questo luogo, appartato e solo in apparenza inospitale, facendone uno dei capisaldi storici delle origini del cristianesimo. Il tutto nacque probabilmente dalla constatazione che il tufo, facilmente plasmabile dagli agenti atmosferici in superficie, era anche agevole da scavare in profondità, con in più la proprietà di diventare poi forte e resistente una volta a contatto con l?aria. Questi ambienti sotterranei, caldi in inverno e freschi d?estate, dovevano apparire ideali nella loro semplicità, in un contesto isolato e meditativo, per degli eremiti in cerca di raccoglimento. Non si conosce con esattezza quando i primi cristiani approdarono in questa regione: forse all?epoca delle persecuzioni romane, sicuramente nel IV secolo dietro la spinta di san Basilio Magno, padre della Chiesa e promotore del monachesimo cenobita, nato nel 330 a Cesarea (l?attuale Kayseri), a due passi da qui. Nel VII e VIII secolo, sotto l?incalzare delle incursioni arabe, sorsero un gran numero di comunità monastiche, maschili e femminili, con migliaia di chiese (nella sola ristretta area di Goreme se ne contano oltre trecento), il tutto rigorosamente celato all?interno della roccia.

Il cristianesimo continuò a prosperare ancora per mezzo millennio, raggiungendo anzi proprio in questo periodo il suo apice, fino a quando l?intolleranza religiosa dei nuovi conquistatori, i Turchi ottomani, non ne decretò la progressiva scomparsa. Di quella lunga presenza rimangono ancora oggi abitazioni, stalle e magazzini, romitaggi e monasteri trogloditici e, soprattutto, un numero incredibile di chiese rupestri, le quali costituiscono un vero patrimonio d?arte. Data la loro struttura ipogea, non si può parlare di particolari pregi o di stili architettonici in senso tradizionale, ma le pareti affrescate con immagini ispirate dalla Bibbia e dai Vangeli, oppure con figure di santi, formano un repertorio culturale unico nel suo genere, degno per la sua commovente semplicità e per la sua antichità del massimo interesse.

 

La propensione alla vita cavernicola in Cappadocia risale tuttavia assai prima del cristianesimo, dato che 400 anni prima della nascita di Cristo lo storico greco Senofonte descrive nella sua Anabasi l?esistenza di vere e proprie città sotterranee. Nessuno prese alla lettera queste affermazioni e a nessuno venne la curiosità di andare a controllare sul posto fino attorno al 1950, quando qualche contadino rivelò che le proprie cantine si prolungavano in uno spazio infinito, formato da un succedersi di cunicoli, gallerie e sale disposti su diversi piani, fino a profondità rilevanti. Gli archeologi hanno così potuto scoprire fino ad ora l?esistenza di ben 36 di queste città-rifugio trogloditiche che si sviluppano sotto villaggi e montagne per chilometri, completamente attrezzate per ospitare ciascuna centinaia o addirittura migliaia di persone con animali e riserve alimentari anche per lunghe permanenze, grazie alla loro perfetta funzionalità.


Un?organizzazione tanto accurata da prevedere, assieme ai quartieri di abitazione, servizi comuni per una collettività numerosa come stalle, magazzini, luoghi di culto, cimiteri, prigioni, torchi per produrre vino, impianti di aerazione, pozzi per attingere acqua, fognature e discariche, nonché un efficiente sistema di chiusura dei condotti di accesso realizzato grazie all?impiego di possenti ruote di pietra manovrabili solo dall?interno. Veri capolavori di ingegneria di una grandiosità sconcertante, realizzati agli albori della storia con mezzi rudimentali per permettere agli abitanti di quest?angolo fantasmagorico dell?Anatolia di sfuggire ai periodici invasori senza dover abbandonare la loro terra.

 

 

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