Testo e Foto di TERESA CARRUBBA
Marrakech.Il fascino che si sprigiona dalla folla che fluisce in modo incessante nelle piazze e nelle strade, variopinti tuareg del Sahara, montanari berberi dell?Atlante, commercianti chleuh indaffarati e vocianti. Questo è Marrakech. Il suo cuore palpitante è la Piazza Djeema-el-Fna, il ?raduno dei trapassati?, così chiamata perché una volta vi si esponevano le teste dei giustiziati del sultano, ma a dispetto del nome è la piazza più viva del Marocco. Seduti sulla terrazza di uno dei caffè, cullati dal ritmo ossessivo di centinaia di tamburelli, sfileranno davanti a voi ballerini e uccellatori, giocolieri e acrobati, cantastorie e incantatori di serpenti, che creano all?impronta l?anima del Grande Sud del Marocco e la propongono senza intermediazioni agli spettatori, come un?incandescente pièce de théatre.
Entrati nella mischia, riconoscerete dal tintinnìo del cappello il venditore di acqua che sa di guadagnare meglio facendosi fotografare piuttosto che vendendo la sua merce, e vi scosterete non appena vi si avvicinerà un uomo scarmigliato, con un grosso cesto sulle spalle. Improvvisamente il cesto viene posto per terra, il coperchio foderato di rosso si apre ed esce un cobra nero e lucente, dalla testa piatta, che si snoda poco alla volta, come incantato. A volte il serpente sembra più innocuo, sottile e strisciante, te lo appoggiano sulle spalle. I turisti sono terrorizzati e non esitano a mettere mano alla borsa pur di vederlo di nuovo scomparire. Passano sveltissime le donne berbere con la fronte decorata da neri tatuaggi. Sono puntini disegnati come costellazioni, segni magici, a volte è solo qualcosa che si intuisce più che vedere, sotto il velo nero. Qui nella Piazza ci sono giovani donne accovacciate per terra, pronte a dare anche a te l?illusione di un tatuaggio berbero, un accurato disegno nero lucido sul dorso della mano o sulla caviglia, che svanirà pian piano, lavaggio dopo lavaggio, insieme al ricordo di quel momento.
Ogni tanto, nella marea di gente drappeggiata in colori scuri si nota il balenìo di un monile d?argento (la lavorazione berbera è magnifica) o la luce morbida di grossi chicchi d?ambra color miele o rossastri a seconda della zona dove sono stati raccolti e dal colore della sabbia che vi si è inclusa quando erano ancora resina molle, secoli fa.
Le babbucce non fanno rumore. Fanno rumore i sonagli alle caviglie e le voci che danno un colore tutto particolare alla Piazza. Sono voci abituate ai grandi spazi, alle note più acute della nostalgia, a volte forti e stridenti, altre cantilenanti come se recitassero misteriose poesie. I pochi punti in ombra della piazza, a volte creati con degli ombrelloni, raccolgono capannelli di uomini vestiti con la tradizionale djellaba e con il tarbusc di feltro rosso. Chi gioca a scacchi per terra, chi racconta storie straordinarie. Muli, ciclomotori, vecchi camioncini scassati, macchine nuove a tutto gas, file di bancarelle per venditori ambulanti di frittelle, di datteri e frutta secca, di fichi infilati in lunghissime collane o di succose arance da spremere al momento. Un miscuglio incredibile di colori, di suoni, di profumi.
La vita si scandisce convulsa anche nel viavai delle viuzze della Medina, proprio adiacente alla Piazza Djeema-el-Fna, una delle città vecchie più affascinanti dell?Africa del nord, piena di bei ricami berberi in oro e argento accuratamente eseguiti su tessuti di poco prezzo, specchi e scrigni adornati con osso di cammello e metallo cesellato, bellissimi lavori in rame, pelli malamente conciate, spiedini in ferro da barbecue lavorati lì sulla strada, splendidi tappeti.
Soltanto quando il sole è alto la confusione diminuisce: è l?ora della grande calura che va mitigata all?ombra dei caffè o dietro le persiane di casa. E? proprio questo momento sonnolento il migliore per visitare la Medina prima che, al tramonto, l?intera città si riversi negli stretti vicoli pieni di tentazioni. Poi ci aspetta la mersea, cioè la scuola coranica, Ben Youssef, un gioiello di decorazioni policrome che risplendono dentro un buio androne. Il minareto della Moschea della Koutoubia, che è il gemello della torre Hassan di Rabat e della Giralda di Siviglia, un vero e proprio ricamo di pietra, uno dei migliori esempi di stile ispano-moresco.
Narra la leggenda che le sue cupole d?oro siano state ricavate dalla fusione dei gioielli della moglie di Yacoub-eI-Mansour che portò a termine la torre. Attraverso uno splendido giardino cintato di siepi di rosmarino si giunge poi ai Sepolcri della famiglia imperiale dei Saadi dove, nella più ricca e armonica delle decorazioni moresche, ha trovato riposo Ahmed-el-Mansour detto l?invincibile, il mitico conquistatore di Timbuctu che nel 1591 attraversò il Sahara con le sue truppe e ne tornò talmente carico d?oro da coprirne letteralmente Marrakech. Il Palazzo della Bahia, un sontuoso esempio di architettura maghrebina, rutilante di intarsi e decorazioni, dal bellissimo giardino moresco con galleria a vetrate e colonne a mosaico. Meritano le stanze della favorita del visir e la sala del consiglio con magnifico soffitto di cedro intarsiato. Poi, il Palazzo el Badi (o meglio le sue splendide rovine) che era definito ?l?incomparabile? proprio come Allah.
Girando per il centro storico in visita a questi monumenti non è insolito, alzando gli occhi, scorgere un nido di cicogne su tetti, torri e persino sui pali della luce. Così come è frequente imbattersi in uno dei tanti magnifici portali dalle decorazioni moresche che indicano dimore tradizionali, spesso nobiliari, dette Riad. Alcune sono antiche, seicentesche. Ristrutturate con estremo gusto, molte di esse sono state trasformate in hotel di charme. Anche gli stranieri sembrano essersi accorti di questa opportunità che offre oggi Marrakech specie all?interno della Medina, cominciano a essere numerosi, per esempio, gli italiani che gestiscono un Riad. Oppure che lo ristrutturano per se stessi, per vivere ogni tanto l?atmosfera incantata e coinvolgente di questa città. Marta Marzotto, Sergio Tanzi, Romeo Gigli e persino Yves Saint Laurent, recentemente scomparso, sono tra questi.
Tutto diverso ad Essaouira. Il primo impatto è l?emozione che sprigiona dal porto. Una distesa fittissima di barchette blu scolorito, una accanto all?altra, vuote, immobili, tanto da sembrare un?unica immensa chiatta. Più al largo alcune navi da pesca, nel cielo una moltitudine incredibile e incessante di gabbiani a volo basso, insolitamente silenziosi. Non è un caso che proprio qui Alfred Hitchcock abbia girato il suo film ?Gli uccelli?, nel 1963. Sulle banchine, mucchi di rete colorata e qualche pescatore seduto a terra a rammendarle. Qui, i pescatori fanno gran parte dell?economia per quell?incredibile quantità di sardine che vivono in queste coste e che le loro mogli vendono direttamente nel porto eviscerando i pesci al momento. Ecco il perché dei gabbiani. Poi lo sguardo, catalizzato dal porto, seguendo il volo degli uccelli si sposta all?altra meraviglia di questa città, il complesso dei Bastioni che circondano con possenti mura tutta la città vecchia, la Medina. La cittadella fortificata che difende il porto, infatti, è una piattaforma protetta da mura merlate su cui si trovano cannoni spagnoli dei secoli XVII e XVIII rivolti verso l?oceano Altantico.
Fu il sultano Mohamed ben Abdellah nel 1764 a voler fare di Essaouira una base navale fortificata e chiamò l?architetto militare francese Théodore Cornut a ridisegnare la città. In tre anni i lavori stravolsero l?impianto urbanistico della vecchia Mogador per creare una città con un largo viale centrale a portici e dritte vie trasversali, il tutto rinchiuso nella poderosa cinta di mura. Alla sua planimetria perfettamente regolare, a pianta romana, la città deve il suo nome attuale Essaouira, ?la ben disegnata?. Dalla Porte de la Marine si entra nella Medina , che è divisa in tre settori, il suq, la mellah, la kasbah. Vie ordinate, scandite solo da negozi; questo è il centro del commercio, l?altra risorsa di Essaouira. In una delle strade interne si trovano i laboratori degli intarsiatori su radica di legno d?ebano e di cedro, che realizzano veri capolavori di artigianato spesso arricchiti da argento e madreperla.
Ma il porto di Essaouira, ricco di fascino tanto da sembrare un set cinematografico, niente ha a che vedere con quello di Casablanca, il più importante del Marocco. Se la capitale ufficiale e sede del governo è Rabat , Casablanca ne è considerata la capitale economica. Una città moderna, con un?architettura curata ed alberghi di livello, come lo Hyatt-Regency, il cui piano bar è la ricostruzione del Rick?s Café Americain del celeberrimo film Casablanca, con tanto di foto degli attori in scena. Tanta modernità è in contrasto con l?unica struttura relativamente antica della città, la medina vecchia con le sue stradine strette e tortuose, cinta da mura del XVI secolo. C?è anche una medina nuova costruita dal 1923 nelle vicinanze della zona europea della città per dare una soluzione al problema dell?inurbamento; cerca di riprodurre in chiave architettonica moderna la struttura tradizionale delle medine con i souk, e le botteghe artigiane.
La vera attrazione di Casablanca è la Moschea Hassan II, la seconda al mondo per dimensioni (dopo la Mecca). Il suo minareto, con 210 metri, è il più alto del mondo e serve anche da faro per il porto. Venne costruita su progetto dell?architetto francese Michel Pinseau per celebrare il sessantesimo compleanno di Re Hassan II del Marocco . Sorge in parte sull?oceano, occupa 90.000 metri quadrati, può ospitare fino a 20.000 fedeli che salgono a 80.000 col piazzale antistante ed è ricca di marmi di diversi tipi e di splendidi lampadari.
Contiene anche una medersa con biblioteca e sale per conferenze, nei sotterranei ci sono sale per abluzioni. Un?opera grandiosa, in termini di spazi e di preziosità che è costata l?equivalente di oltre 500 milioni di euro. Da non mancare, una passeggiata sul Boulevard de la Corniche, il lungomare di Casablanca, fittissimo di stabilimenti balneari modernamente attrezzati, ristoranti, locali ed alberghi. Insomma, la parte mondana della città.