Testo e Foto di TERESA CARRUBBA


La semplicità
dell’architettura greca

Il bianco abbacinante delle casette tinte a calce e l’azzurro apotropaico degli infissi, non devono trarre in inganno. Questa non è la Grecia di Santorini o di Mykonos, rutilante  di un turismo affollato e di allegro chiacchiericcio. Questa non è la Grecia delle spiagge popolate e delle infilate di locali sul porto, dei vicoli variopinti per via dei grappoli di vestiti, spugne marine, pendagli di vetro o di ceramica che segnano l’entrata dei mille negozietti. Insomma, questa non è isola per turisti, ma per viaggiatori. Amorgos, la più sconosciuta delle Cicladi, quelle isole che emergono come cime dell’Egeide sprofondata, e che formano un ciclo attorno a Delos, terra sacra degli antichi Greci. E di quella sacralità è rimasto molto in Amorgos. Nella verginità della natura, per esempio. Una natura a tratti brulla e montuosa, fatta per entusiasmanti camminate stile trekking o per passeggiate lente, un modo intrigante per osservare dall’alto la costa che cambia ad ogni curva, frastagliata e ripida per poi placarsi in calette tranquille, in spiagge appartate. E lungo il percorso, all’emozione della vista si aggiunge l’armonia dei profumi che ti avvolgono man mano che cammini, sono le erbe aromatiche, quasi un migliaio di specie in tutta l’isola, che spuntano dalla vegetazione bassa, dagli irti cespugli, tra fiori insoliti e bacche colorate. C’è persino una piantina autoctona ( altrove pare esista solo in Puglia) detta “lumino” il cui germoglio veniva utilizzato come stoppino per i lumi ad olio di una volta, un germoglio durava una notte intera.


Uno scorcio di Langada

Gli itinerari possibili, ad Amorgos, attraversano i pochi centri abitati. Langada, un delizioso villaggio che si inerpica per strette viuzze a gradoni bassi e lunghi, agevoli per i muli che qui abbondano come facile mezzo di trasporto. Sulle stradine sono dipinti dei fiori naif a grandi corolle, o simboli religiosi della Pasqua, quasi un invito che raccorda le casette alla chiesa. E se si ha la fortuna di capitare qui proprio nel periodo della Pasqua ortodossa, come è successo a noi, si può partecipare alla suggestiva celebrazione religiosa in una delle chiese bizantine, come la bella Panagia Epanohoriani,  che culmina nella condivisione del pane benedetto che viene spezzato e distribuito sul sagrato a chiunque vi si trovi, e del vino. Una sorta di comunione collettiva che in più ha lo spirito profondo della compartecipazione e della vicinanza, qui molto sentito. Può capitare, per esempio, infilati in labirinti di vicoli e scalinate dove il bianco assoluto insiste sui muretti e sulle facciate interrotto solo da magnifici festoni di bouganville, di fermarsi a mangiare in un ristorantino all’aperto sotto una tettoia fiorita, accanto a una piccola chiesetta bizantina, insieme agli abitanti del luogo. Ecco che il villaggio diventa la casa di tutti, il sagrato della chiesa fa spazio a vecchi musicanti che pizzicano il bouzouki spargendo nell’aria grecità pura. Questa è Amorgos. L’isola della semplicità e dell’accoglienza familiare.


I fiori dipinti sulle
stradine di Langada

Ma c’è anche l’Amorgos spettacolare, quella che conduce al Monastero della Panaghia Chozoviotissa,  unico al mondo per architettura e per suggestione, che non poteva sfuggire all’attenzione dell’Unesco come  Patrimonio dell’Umanità. Già da lontano s’intravede la sagoma candida di questa singolare struttura, ieratica e maestosa, addossata a una falesia di roccia rossastra, quasi sospesa su un mare incredibilmente blu, liscio come l’olio, se non fosse per quella pioggia di lustrini accesi dal sole che qui cade a picco nella baia. Non è un caso che proprio qui Luc Bresson abbia voluto girare il suo film “Le grand bleu”.


Il singolare Monastero di Chozoviotissa

Non è un caso che proprio qui sia venerata un’icona miracolata e miracolosa. E non è un caso che, con la scusa dell’ascetismo, i monaci scelgano sempre angoli di Paradiso, tagliati fuori da tutto e da tutti.

E, si sa, “per aspera ad astra”. Per arrivare al Santuario la strada è lunga e faticosa, specie se sotto la calura del Solleone; i gradini per raggiungere Panaghia Chozoviotissa, a 300 metri s.l.m., sembrano non finire mai. Ma è una fatica ben ripagata che va oltre il cordiale, l’acqua e i lukum alle rose , premurosa accoglienza dei monaci all’arrivo; la stanchezza svanisce soprattutto alla vista di quella meraviglia che si apre agli occhi. Non si sa dove guardare prima, se questo monastero inusitato e mistico o il golfo a strapiombo, su un Egeo immobile come una fotografia.


Il grand bleau visto dal
Monastero di Chozoviotissa

Amorgos è anche la vivacità di Chora, la capitale medievale. Un villaggio tirato a calce immacolata, con i classici vicoli in salita punteggiati da pochissime, discrete boutiques dell’artigianato dall’aria vagamente simile a quella di Positano, che conducono a una pittoresca piazzetta, un salotto greco, con al centro un albero millenario e sullo sfondo le tre navate a botte di una chiesa bizantina dalle linee elementari che seguono l’andamento dell’impiantito. Davanti alla chiesa, come è usuale qui, i tavolini di un caffè con uomini che conversano amabilmente bevendo un bicchiere di ouzo o quella sorta di lungo cappuccino scuro che in Grecia è gradito in ogni momento della giornata. Si può dire che Chora sia la città delle chiese visto che tra i vicoli ce ne sono circa 40, risalenti al periodo Bizantino e post Bizantino.


La chiesa bizantina a tre corpi
nella piazza di Chora

E poi taverne dove si gustano cibi tipici seduti ai tavoli di legno sul piazzale antistante e dove ci si può imbattere in qualcuno che all’aperto prepari il croccante di sesamo e miele in un pentolone sul fuoco e poi stenda l’impasto caldo su un tavolo bagnato di vino per poi tagliarlo a losanghe e servirlo su foglie di vite. Chora è un salotto, abbiamo detto. Protetto intorno dalle montagne che il Profeta Elia ha messo a custodire la città. Così come il Kastro veneziano del 1260 che la sovrasta. Ad Est, il profilo della collina è disegnato dagli ultimi mulini a vento che conferiscono al villaggio il tipico carattere cicladico.


in alto: il Monastero di George Valsamitis

DOVE SOGGIORNARE
 
Punto base per la scoperta dell’isola può essere l’Aegialis Hotel & Spa, il migliore e il più moderno. Una struttura a terrazze comunicanti che dalla hall scendono fino alla piscina, arredata con chaise-longue e fornita di bar per un drink o uno spuntino, e più giù, alla strada che in 10-15 minuti a piedi porta alla spiaggia e al porto di Aegiali, lì dove sbarcano i traghetti dal Pireo o dalle isole vicine in alternativa al  più grande porto di Katapola. Terrazze da dove godersi l’intero Golfo, magari gustando un aperitivo in attesa che arrivi il tramonto e il sole scenda dietro il porto di Aegiali, pronti con una macchina fotografica in bilico sul muretto perché l’immagine suggestiva che è negli occhi possa trasferirsi nitida anche attraverso l’obiettivo. Può volerci un po’ di tempo per avere il risultato giusto, ma vale la pena aspettare.


Aegialis Hotel & Spa

Camere confortevoli, ristorante con cucina tradizionale greca, sala convegni. Gli ospiti dell’Hotel possono usufruire della modernissima struttura Spa, massaggi tradizionali e innovativi, macchinari al servizio della bellezza, bagni alle profumatissime erbe di Amorgos, e quant’altro.


Il Porto di Aegiali
fotografato dall’Hotel

Ogni anno ad Amorgos ha luogo la Convention Internazionale dei Media ,Yperia, manifestazione che da dieci anni viene ospitata presso l’hotel Aegialis con l’organizzazione e il coordinamento dell’ intraprendente Irene Giannakopoulos, titolare dell’Hotel e Presidente dell’Associazione Culturale di Tholaria.