LUISA CHIUMENTI



A “Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel Trecento” è dedicata, fino al 15 giugno, la raffinata mostra destinata a prefigurare ciò che, a fine 2008, sarà la “nuova” Galleria di Palazzo Barberini.

Per quella data le sale del pianterreno saranno pronte ad accogliere le opere più antiche della raccolta, dal dodicesimo al quindicesimo secolo, tappa ulteriore del progressivo ampliamento della Galleria.

La mostra che è anche la messa a punto di un modello di mostre dossier che possono costituire parte dell?attività espositiva di Palazzo Barberini, per valorizzare i tanti materiali poco noti custoditi nei depositi.
Non è un caso se ad aprire questo filone sarà la Pittura Riminese del Trecento, uno dei momenti di snodo della storia dell?arte in Italia, che, promossa dal Polo Museale Romano in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, è curata da Daniele Ferrara.
L?esposizione é nata dalla opportunità di riunire, dopo il restauro, uno dei massimi capolavori della pittura riminese del Trecento: le due parti conosciute del grande dossale commissionato dai francescani a Giovanni Baronzio per la loro chiesa di Villa Verucchio.

Una parte del Dossale, smembrato dopo le soppressioni napoleoniche, è ora patrimonio di Palazzo Barberini ed è stata sottoposta ad un complesso intervento di restauro curato dalla Soprintendenza per il Polo Museale Romano e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. Proprio quest?ultima ha acquistato nel 2006 sul mercato antiquario la seconda parte del Dossale, anch?essa recentemente restaurata. Le due tavole furono pubblicate per la prima volta da Federico Zeri nel 1958, e sono da allora note con il nome di “Dossale Corvisieri” dal nome della collezione romana di cui facevano parte fin dall?Ottocento.


Se furono i Francescani a chiamare Giotto a Rimini furono ancora loro a commissionare a Giovanni Baronzio l?opera principale per la chiesa di un convento tra i più significativi per l?Ordine Mendicante, quello di Villa Verucchio, appunto, non lontano dalla città, opera che doveva, con la sua imponenza, celebrare i Malatesta, signori del luogo, e sottolineare la permanenza nel convento dello stesso San Francesco.

Il dossale (pannello decorativo longitudinale da porre su un altare) si suppone essere stato in realtà non un dittico, ma un trittico del quale non si conosce la sorte della parte centrale, dove si pensa essere stata ubicata la Crocifissione.

Ma  a questo punto è utile fermarsi un momento a quella che doveva essere allora la città di Rimini, mettendo  in risalto come, nel corso del ?200, essa fosse aspramente impegnata nelle lotte con Pesaro e Cesena per il dominio del contado essendo anche divisa tra le fazioni dei Guelfi, schierati con il Papa e i Ghibellini, sostenitori dell ?Impero. Fra i primi si annoveravano i Malatesta e i Gambacerri e tra i filo-imperiali i Parcidati e gli Omodei.

E fu proprio alla fine del Duecento, ed esattamente nel 1295, che il Malatesta  di Verrucchio, aiutato dai figli, eliminò dalla scena politica riminese gli avversari e in particolare il capo ghibellino Montagna de Parcitadi: una conquista del potere, ricordata da Dante (Inferno XXVII), che definì ?Malatesta e il figlio Malatestino? come ?mastini?, in quanto carnefici del Parcidati, che venne ucciso in prigione.

E giungendo poi alla Rimini del ?300, essa chiaramente iniziava a manifestare con grande evidenza tutta la forza della sua particolare posizione, così come risulta  collocata in una situazione strategica, fra il mare Adriatico e l?Appennino, nell?ultima propaggine  a sud-est della Pianura Padana.

Da qui, nominata  ?Comune ? fin dalla metà del XII secolo, inserì nei sigilli comunali, quali segni dell?antico prestigio i monumenti romani che ancora oggi vi si possono ammirare: l?Arco di Augusto e il Ponte di Tiberio.


A tale proposito assume notevole importanza politica il testamento del 1311, a dimostrazione della attenta gestione del potere da parte della famiglia, in una

Rimini qual?era ormai la città del ?300, fortemente popolata, cosmopolita, operosa e molto articolata sul piano sociale. Il suo rigoglio era ancorato sia alla terraferma, come capitale di un vasto contado, sia verso il mare, che le permetteva di svolgere attività commerciali con tutte le altre regioni adriatiche e con l?Oriente.

Rimini si dimostra quindi in quei secoli come una città molto aperta anche alla cultura d?Oltralpe, anche perché, con il trasferimento del papato ad Avignone (1309 -1377), stimolava i rapporti con i letterati e i rappresentanti pontifici provenienti ad esempio dalla Francia.

Malatesta di Verucchio moriva nel 1312, all?età di ben 100 anni, riuscendo comunque a dar vita ad un grande dominio che si sarebbe mantenuto molto saldo finché, alla metà del ?400, Sigismondo avrebbe avuto la facoltà di avvalersi dell?opera di un architetto come Leon Battista Alberti e di un artista come Piero della Francesca continuando il grande fulgore della casata fino verso gli inizi del ?500.


Ed ecco come il pannello riminese si inserisce in un tale rigoglio politico culturale; con il suo capolavoro Baronzio descrisse per immagini la storia della Passione di Cristo, narrandone i drammatici momenti fino alla Pentecoste: il pannello di sinistra è su due registri e parte dall?ultima cena, per seguire con l?orazione nell?orto, la cattura di Cristo, il  Cristo dinanzi a Caifa ed Erode, il Cristo spogliato, la flagellazione, l? incoronazione di spine e la  salita al calvario. Quello di destra, appartenente alla Galleria Nazionale d?Arte Antica, inizia con la Deposizione, per seguire con la Pentecoste, l?Ascensione, il Compianto di Cristo morto, la Resurrezione e la discesa di Cristo al limbo.


E il  ?dossale?, restaurato a spese della Fondazione riminese, sotto la direzione di Daniele Ferrara (per il supporto ligneo è stato affidato a Pier Paolo Monfaldini e per la superficie pittorica a Ilir Shahoilli) appare  ora finalmente  riunito, per mostrarsi  in tutta la sua bellezza e testimoniare quanto la scuola riminese avesse raggiunto, nella sua interpretazione delle qualità giottesche, un grande livello qualitativo.

La preziosa mostra di palazzo Barberini  ha poi esposto, a conferma di un tale alto livello di quella scuola, diverse altre tavole di artisti sempre riminesi, che lavoravano, assai significativamente in quel periodo,  anche per committenze private. Si tratta di piccole opere, tra le quali di Giovanni Baronzio ?la Crocifissione? e la tavoletta con i Santi Francesco, Giovanni Battista, Ludovico da Tolosa e Orsola, prestate dalla Pinacoteca Vaticana.

Proveniente inoltre dalla Fondazione Cini di Venezia, è stato presentato anche il foglio di corale, miniato da Neri da Rimini, mentre,  di Pietro da Rimini è stata esposta la ?Resurrezione? della Fondazione riminese.

Seguono le opere di committenza pubblica, tra le quali il Crocefisso di Giovanni da Rimini del Museo della città.

Della Galleria Nazionale delle Marche segnaliamo ancora  la ?Crocifissione? e il ?Polittico dell?Incoronazione?, nonché,  del Maestro del Verrucchio, la Crocifissione, Vergine Annunciata, lavori con i quali è giusto quindi affermare che

i pittori della Scuola riminese hanno effettivamente lavorato anche nelle Marche. Intorno al dittico del Baronzio quindi è stato presentato  un insieme preziosissimo di opere, che hanno fatto  conoscere al grande pubblico l?importanza di questa scuola trecentesca.

 

Per informazioni:

Soprintendenza per il Polo Museale Romano -  tel. 06.69994219;
Galleria Nazionale d?Arte Antica in Palazzo Barberini – Ufficio Relazioni Esterne: tel. 06.4824184; fax 06.4880560