CARMEN DEL VANDO BLANCO



    

Seguendo la linea espositiva dell?Istituto Spagnolo che intende mostrare ogni sua collezione, questa rassegna ha lo scopo di approfondire la ricerca e la documentazione  delle istallazioni appartenenti alla Collezione Ivam, oltre ad analizzare il contesto dove furono pensate e presentate, con una selezione delle più rappresentative. In più, la proiezione di un documentario aiuta ad addentrarsi in questa disciplina dell?arte contemporanea, talmente complessa da mettere in difficoltà persino la sua categorizzazione.

Sebbene le opere ibride impediscano di offrire definizioni categoriche, possono contribuire a fare luce sulle questioni aperte di questo progetto, in sintonia col vero e proprio senso delle istallazioni: una forma d?arte che integra lo spettatore e lo spazio nel suo contesto.

Dalla sua fondazione, fra i programmi di ricerca dell?Ivam furono le attività artistiche nate alla fine degli anni ?60 e sviluppate negli anni ?70, precisa partenza di questo progetto espositivo, fondamentale per l?apice delle nuove espressioni e dei nuovi mezzi che, da allora,  hanno fatto vivere l?arte contemporanea.

Riferirsi alle istallazioni può indurre ad indicare opere molto diverse, se parliamo di lavori realizzati negli anni ?70 oppure prodotti nell?attualità. Infatti, negli anni ?70, quando ancora non era stato coniato il termine ?istallazione?, venivano utilizzati molti altri come ?ambienti?, ?luoghi?, e, addirittura, ?sculture?. Allora imperava lo sconcerto più totale anche fra i teorici più  avvezzati del momento.


    
L?unanimità era completamente assente all?ora di assegnare una denominazione a questi comportamenti artistici che stabilivano un continuum fra il contenuto e il contenitore. E proprio, come un paradosso, questa mancanza di classifica per l?istallazione, appena nata, avrebbe contribuito a creare la sua definizione in quanto negazione: qualcosa che non è scultura, né pittura, né architettura, ma che c?entra con tutte queste categorie insieme.

Diverso a questi ?interventi?, il video non si riduce ad uno spazio fisico concreto. La sua nascita seguì due cammini: in primo luogo, come mezzo per dare visione alle manifestazioni di carattere concettuale, ?performativo?, spaziale e immateriale; in secondo, come lavori espressivi che rispondevano all?urgenza di un nuovo spazio politico e ideologico. E poi, quasi in parallelo, si svilupparono le video-istallazioni che cercavano di stabilire dei collegamenti concreti con lo spettatore e con il luogo.

Ed è questa l?importanza dei pezzi dell?Ivam: costituire il filo conduttore che dimostra l?inedito rapporto fra l?opera e gli spazi -sia la sala espositiva o lo studio-, l?arte ed il suo rapporto con l?ambito dei nuovi mezzi -lo spazio mediatico- e la realtà dell?opera collocata in ambienti diversi -la natura, la strada o l?architettura-, revisionando il ruolo tradizionale dell?autore e dello spettatore, tentando di intensificare le due esperienze e di tracciare una delle possibili letture dentro questa collezione.

Il concetto dell?esposizione come nuovo genere sperimentale, trova il miglior esempio nella ?Fun House? (1956) di Hamilton, Voelcker y MacHale, al quale si contrappongono i video monocanale che Bruce Nauman realizza negli anni ?68 e ?69.  Una decade più tardi, ai suoi lavori si uniranno quelli di Gary Hill.


    
Un altro nordamericano, Gordon Matta-Clark, è presente con opere parallele alle sue architetture, formate da ritagli, opere su carta, fotografie o documenti filmati. A Parigi, contemporaneamente, il catalano Antoni Miralda crea una performance ripresa da Benet Rosell, intitolata ?Paris?, anch?essa esposta nella rassegna.

Intanto, fece la sua apparizione quella che avrebbe raccolto un successo strepitoso, senza paragone, nell?imaginario collettivo: la televisione. La sua popolarità in continua crescita, fu contrastata da un altro nuovo mezzo che si presentava a più buon mercato e di più facile manipolazione per gli artisti: il video.

L?influenza o, meglio, il potere della televisione nella formazione di individui passivi e nella fossilizzazione di nuovi archetipi sociali e culturali sono i temi dei video ?Television Delivers People?, di Richard Serra, o le produzioni di Antoni Muntadas. A dimostrazione di un discorso politico, artistico femminista, si propone ?Technology/Transformation: Wonder Woman?, di Dara Birnbaum.

Mentre il cinema, da parte sua, un altro diffusore dell?immaginario, viene trattato nella mostra da John Baldessari.

La Land Art, la scultura come luogo naturale, è esemplificata da Robert Smithson con la sua opera ?Spiral Jetty? del 1970, che si oppone alle passeggiate di Fulton o alle proprietà fisiche, semantiche, concettuali dei distinti elementi naturali nelle opere d?arte di Roth, Ruthenbeck o, le più recenti, di Gilberto Zorio e Nacho Criado.

A partire degli anni ?80, le opere continueranno a pretendere dallo spettatore la sua partecipazione, come si può verificare nelle opere della sala 7 dell?Istituto, dove il visitatore deve attraversarle, incrociarle, percorrerle e interagire con alcuni dei suoi elementi, a dimostrazione che l?Arte non è un riflesso ma una interpretazione in più, una esperienza.