LUISA CHIUMENTI



    

L?Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, con produzione e organizzazione del Palazzo Reale e di Arthemisia ha promosso una grande retrospettiva di Tamara de Lempicka (Varsavia 1898 ? Cuernavaca 1980) allestita a Palazzo Reale ( Catalogo Skira).

La mostra, curata da Gioia Mori, celebra l?artista polacca a Milano, dopo aver conquistato Londra, Vienna e Parigi con le mostre a lei dedicate tra il 2004 e il 2006, ma sappiamo che ancora fanciulla era venuta peraltro in Italia già nel 1911, appassionandosi vivamente alla bellezza, attraverso le visite  ai   musei di Firenze, Roma e Venezia, all?arte italiana e  in particolare a Botticelli, Raffaello e Pontormo.

La mostra di Milano ha un particolare significato, perché fu proprio in questa città, presso la galleria del conte Emanuele Castelbarco (?Bottega di Poesia?), allora situata in via Montenapoleone 14, che fu allestita la sua prima personale ancora nel 1925, determinandone l?immediato successo e la fama internazionale, nel momento in cui si stavano affermando i grandi ?protagonisti del Novecento? come Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Achille Funi e Francesco Trombadori.

L?esposizione del 1925, presso la galleria del conte Castelbarco, è stata ricostruita nella  mostra attuale, con alcuni esempi significativi : dal Portrait du Prince Eristoff (1925), al Portrait du Marquis d?Affitto (1925), al Portrait de la Duchesse de la Salle (1925), Les deux fillettes aux rubans (1925).

La figura di Castelbarco, importante uomo di cultura della Milano degli anni Venti, marito di Wally Toscanini (figlia di Arturo), e la sua attività di editore e gallerista è segnalata in una sezione della mostra, che ne documenta l?attività, e il rapporto con Gabriele D?Annunzio, l?uomo che Tamara rifiutò durante un burrascoso soggiorno al Vittoriale.


    
A distanza di ottant?anni dunque,  Milano ha saputo oggi riproporre l? affascinante mondo del lavoro e delle idee di Tamara, l? esposizione, di apertura internazionale, ha proposto opere che provengono da prestigiose collezioni pubbliche e private, soprattutto americane ed europee, tra cui i francesi Musée National d?Art Moderne – Centre Pompidou di Parigi, Musée des Beaux-Arts de Nantes, Museé Malraux di Le Havre e Musée-Château de Cagnes, e le collezioni Wolfgang Joop di Berlino e Donna Karan di New York oltre che molte opere courtesy Barry Friedman e Alain Blondel.

Pittrice cosmopolita e, come è stata definita,  ?icona? dell?Art Déco, Tamara de Lempicka,  stimolata da una volontà ferrea, sentiva la vita stessa come un?opera d?arte, divenendo, con le sue immagini, simbolo della donna ?emancipata, libera, indipendente e trasgressiva? brillante interprete della ?follia? degli anni ?20 e 30.

La mostra, che si apre evidenziando il momento della fuga dell?artista dalla Russia all?Europa, allorché Tamara, già sposa di Tadeusz Lempicki, lasciata  San Pietroburgo sotto l?assedio bolscevico, si reca a Parigi per iniziarvi  una vita nuova,  ripercorre poi tutta la sua carriera, fino agli ultimi anni trascorsi in Messico, con  dipinti, disegni, documenti, fotografie, immagini di repertorio, che rendono viva l?atmosfera del tempo, tra grandi eventi storici e tendenze artistiche.

Memore dell?arte russa di ispirazione cubista, allieva a Parigi di André Lhote,  Tamara de Lempicka si presenta al mondo parigino esponendo già nel 1922 già padrona del suo stile personale (ed ecco i primi ritratti, in mostra : dalla figlia Kizette, Portrait d?une fillette avec son ourson (1922), a La bohémienne (1923) e la Danseuse russe (1923-1924). Appare, caratterizzato da una forte deformazione e tendenza all?ingigantimento dei volumi, nel ritratto Femme à la robe noire (1923).

Sono poi presenti ritratti unici nella geniale rappresentazione della società mondana durante gli anni tra le due guerre: La tunique rose (1927), Le rêve (1927), La belle Rafaela en vert (1927), Jeune fille aux gants (1930), acquistato dallo Stato francese già nel 1932, La musicienne (1929), Nu aux buildings (1929), Le téléphone 2 (1930), Nu aux voilers (1931), Arlette Boucard aux arums (1931), Portrait de Marjorie Ferry (1932), Portrait de Mademoiselle Poum Rachou (1934). Molti di essi rappresentano soprattutto ?il nuovo?: il telefono, le vedute urbane con grattacieli, le barche a vela dei lussuosi luoghi di villeggiatura.
    

    
Molto attenta alla moda e la design degli anni ?20 e ?30, Tamara de Lempicka ne amò in particolare la perfezione ed il segno lucido ed  essenziale e su queste tematiche avrebbe poi aperto il suo studio di Parigi in un edificio progettato dall?architetto Robert Mallet-Stevens, rappresentante di spicco dell?architettura modernista, incaricando invece  dell?arredamento, la sorella Adrienne Gurwick-Gorska, architetto, che per lei avrebbe disegnato oggetti e mobili, che restano come significativo esempio del gusto dell?epoca.

Il timore delle persecuzioni razziali (il padre di Tamara era ebreo, così come il suo secondo marito, il barone Raoul Kuffner),  fanno sì che ella, nel 1939, decida di allontanarsi dall?Europa, trasferendosi prima a Cuba e poi negli Stati Uniti, dove  vivrà per un periodo in California (Hollywood) e poi a New York. Sono gli anni in cui realizza opere dal carattere meditativo e dallo stile iperrealista: Atelier à la campagne (1941), Le turban orange II (1945), La Mexicaine (1947), Portrait de Kizette adulte I (1954), Femme au chapeau (1952), e le nature morte ispirate all?arte fiamminga.

Il mito di Tamara, ?donna moderna? per eccellenza e dai comportamenti molto liberi, si affermerà dopo la sua scomparsa ( morirà in Messico negli anni Ottanta, un po? dimenticata), attraverso un collezionismo d?élite da parte di personaggi molto famosi come Barbra Streisand a Jack Nicholson, da Madonna a Donna Karan e Wolfgang Joop, con frequenti citazioni delle sue opere e del suo stile nel cinema, nella fiction televisiva e  nella pubblicità.

 

 

 

TAMARA DE LEMPICKA

Milano – Palazzo Reale

fino al 14 gennaio 2007