BARBARA ROSSI
L? incontro con Gianni Amelio chiude la quarta edizione di ?Cinema e letteratura ? Incontro con gli autori?, lodevole e piacevole iniziativa promossa dall? IRRE Lazio e dal Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell? Università di Roma la Sapienza.
La casa del Cinema mette a disposizione la sala convegni, e l?incontro con Amelio assume un tono più ?autorevole?. Si ha l?impressione che si stia per assistere all?arrivo di un ?personaggio?. Una piccola folla attende l?apertura della sala; alcuni fotografi chiedono di poter scattare delle foto, numerosi gli assistenti che si preoccupano di far accomodare i presenti e non resta nessun posto libero quando Gianni Amelio fa il suo ingresso in sala.
Pura ironia del caso perché Amelio non ama essere riconosciuto, fotografato, chiacchierato: mediatizzato insomma. E? una persona che ha una passione viscerale per il cinema, cioè gli piace vedere il cinema, parlare di cinema, fare cinema. Ed è un capace cantastorie, così tutti noi presenti, e ci lasciamo incantare dal racconto sprofondando con il corpo nelle comode poltrone di velluto. Sceneggiatura, personaggi tutto ciò che viene prima di un film, compresi esperienze e ricordi personali.
Con l?occasione Amelio presenta il suo ultimo?libro. Si, non un film, ma un libro. Sui film. Quei film che per svariati motivi sono stati per lui significativi. In ?Il vizio del cinema ? edito da Einaudi, l?autore (e regista) racconta come all?età di dieci anni inizia ad andare al cinema da solo. A casa teneva un taccuino, dove redigere una scheda per ogni film e assegnrgli un voto subito dopo la visione. Il film è visto tutto d?un fiato, lo spettatore è ?rapito? e per le due ore di proiezione è immerso in un altro mondo,e suoni, luci colori e parole lo estraniano. Un?esperienza che coinvolge più sensi, che è la caratteristica primaria della fruizione della settima arte.
Lo spettatore è incollato alla sedia fino all? ultima battuta che, se ben congeniata, riassume il senso del film e va a casa con lo spettatore. E? noto come negli anni ?50 si entrava in sala anche a film iniziato. Psyco fece da spartiacque. La proiezione venne accompagnata da un cartello che consigliava la visione del film dal principio.
Amelio insiste sull? importanza che nel suo lavoro ha il finale, che è la parte che a lui viene in mente prima di tutto il resto .Personalmente scrive sempre un finale diverso da quello che ha realmente scelto. Per quieto vivere con il produttore e con gli sceneggiatori il finale viene concordato insieme. Così è stato per Le chiavi di casa. Il finale scelto prevedeva l?uccisione del carabiniere per mano del piccolo protagonista. Quel finale non venne girato per tanti motivi ma anche, o soprattutto per Amelio, perché ? Quella situazione immaginata che voleva il bambino con in mano la pistola era innaturale. I bambini sono una specie di cartina di tornasole. Se con loro una cosa non và sul set vuol dire che è meglio trovare un?altra strada?. Durante la quinta settimana di riprese, Amelio gira in sordina il suo finale, che è poi il finale che tutti conosciamo. Una scena semplice ma di una forza emotiva straordinaria. Una lezione imparata da Antonioni .
Il buon finale non è un finale, lo spettatore dovrebbe sempre intuire che la storia da qualche parte continua, come un afflato di pietà e delicatezza nei confronti del nostro stare al mondo. Lascia una speranza.
Molti film di Amelio sono tratti da romanzi. I produttori pare siano grandi lettori. Le case di produzione spesso acquistano i diritti di un nuovo romanzo non tanto per farne un film, ma per non farlo fare alla concorrenza. Ormai per fortuna il cinema si è scrollato di dosso quel senso di inferiorità che soffriva nei confronti della letteratura. In principio si parlava di riduzione?Vuoi fare un film da ?Nati due volte? di Giuseppe Pontiggia?? Amelio dice di si senza aver neanche letto il testo. Poi s? innamora della storia, ma da questa trae una lettura personale, un punto di vista che condizionerà l? intera sceneggiatura. Le chiavi di casa sarà cosa altra dal romanzo.
Non serve seguire la trama alla lettera. ?Porte aperte? di Sciascia ha un incipit magistrale: il giudice viene ricevuto dal procuratore generale che gli dice, accogliendolo:?Io lo so come la pensa. Però?? Attraverso questa battuta iniziale capiamo buona parte dell? ambientazione, capiamo da quale parte è il giudice e da quale il procuratore; intuiamo che il fatto di cui si parla ha implicazioni che vanno al di là del caso e immediatamente ci mettiamo in allerta, perché la questione sarà sicuramente spinosa. Ricalcare questo inizio attraverso la riproduzione di un? ipotetica scena non avrebbe reso lo stesso effetto. Il regista può avvalersi del lavoro di approfondimento che l? autore del romanzo fa sul personaggio e che la sceneggiatura di un film raramente contempla.
Il prossimo film di Amelio è tratto da ?La dismissione? di Armando Rea. E inizia dove finisce il libro.