ENNIO CAVALLI


Weimar
Chiesa dei ss. Pietro e Paolo

FOTO:  GESKE, DRESLER, SCHUCK, CRE ART, FULDA

Weimar e Goethe, per me, hanno una diaspora di precedenti. La Finlandia autunnale, tutta ori e ombre di ferro battuto, da Helsinki alla Lapponia. Quel tripudio di povere lampadine che sparge polvere di diamante, nella valle, sulle notti di Damasco. Le possenti sequoie di Muir Woods: fanno muro col monte Tamalpais, a nord di San Francisco, piene di storia e di immunità, dalle coccole minuscole come ghiande. La scritta ?Hollywood?, chiarissima, come non mi era mai capitato di vedere la Century City, in quattro anni di Oscar, in una luce elastica come un tiro di fionda, finalmente più animosa dello smog Londra sorseggiata dall?esterno, castelli e rioni, Windsor, Hampton Court, Hampstead, quel prato dove si erano trasferiti i giudici della Corte per continuare a emettere sentenze, nonostante la peste. Infine Weimar, designata ?capitale europea della cultura? per il 1999, in piena ristrutturazione, in rotta di avvicinamento tra Germania Occidentale ed ex DDR.


Palazzo Belvedere
Esperienze aggiunte alla mia vita di inviato grazie a Enzo Biagi. Ovvero viaggi fatti in sua compagnia, insieme ad altri colleghi, con la ?regia? di Anna Drugman. Occasione, di volta in volta, l?uscita e la presentazione di questo o quel libro del grande giornalista. Così Weimar resta legata, per me, a un?Italia guardata dall?Europa, ovvero al libro ?Cara Italia?, che Biagi presentò lì, nel cuore della Turingia e della Germania dimenticata. Con più di mille anni di storia alle spalle, Weimar conserva gelosamente ?l?altra metà? di fatti e misfatti della recente storia europea, assieme a clamorosi richiami ancora nel guscio. Appena velata da cantieri e tralicci, senza necessità di profonde rivoluzioni urbanistiche, piccola ma ingigantita dal mito, Weimar è pronta per il terzo millennio. ?In quale altro luogo potere ancora trovare tutte cose buone in uno spazio così ristretto??, si domanda Goethe, rivolgendosi all?amico e segretario Eckermann, nel 1823.
Palazzo Tiefurt
Già, Goethe. Dire Weimar significa dire Goethe. Ma non solo. Culla del classicismo tedesco, città legata ai fervori e ai furori della storia ( qui nacque nel ?19 la prima Repubblica tedesca, poi arrivò Hitler, nel ?33). Destini intrecciati per Goethe, Schiller, Liszt. Il grande pittore cinquecentesco Cranach vi trascorse gli ultimi due anni della sua vita. Nietzsche vi morì nel 1900. Weimar sede della Bauhaus, l?istituzione diretta da Walter Gropius che avrebbe rivoluzionato l?architettura e il design del ventesimo secolo, con l?apporto di artisti come Paul Klee, Kandisky, Làszo Moholy-Nagy. Qui, nel 1999 sono stati festeggiati, non solo i 250 anni della nascita di Goethe. Anche i 240 della nascita di Schiller, gli 80 anni della Bauhaus e della proclamazione della Repubblica, i 1100 anni del primo documento col nome della città, i 10 anni dalla caduta del Muro. Il primo passo a Weimar va comunque fatto in direzione di  Frauenplan, dov?è la casa di Goethe. Costruita nel 1709, in stile barocco, dal tesoriere Georg Kaspar Helmershausen, fu subito la più lussuosa casa borghese della città.
La casa di Goethe
Il duca Carl August la donò a Goethe nel 1794, quando il poeta era ormai Ministro del piccolo principato. Goethe era arrivato a Weimar, chiamato dal duca, nel 1775. I 6000 abitanti di allora sono diventati oggi 60.000. La fattiva presenza di Goethe richiamò Shiller, Wieland, Herder, trasformando ben presto la cittadina in un centro di idee, di iniziative  culturali ed editoriali. ?Per la prima volta la Germania ha una capitale culturale e letteraria?, scriveva nel 1810 Madame de Stael, protagonista a sua volta di quel circolo. La casa di Goethe, già famoso per opere come ?I dolori del giovane Werther?, diventò punto d?incontro di tanti  cosmopolitici fervori e insieme, materialmente, work in progress per arredi, memorabilia, atmosfere. Tutto raccolto e disposto con sobria eleganza, ?non per abitarvi comodamente?, come scrisse il padrone di casa nel 1806, ?ma per diffondere il più possibile l?arte e la scienza?. Nella visita, assieme a Biagi, siamo rimasti colpiti dal ?Salve? intarsiato sul legno del pavimento, all?ingresso, cordiale retaggio dello spirito classico e di ?Viaggio in Italia?. Adesso quel ?Salve? è diventato un marchio, uno slogan turistico, lo si ritrova nel merchandise più corrivo, su piatti e boccali. Per Goethe rappresentava il traslato domestico di una lingua e di una cultura (latina e italiana, classica e rinascimentale) sulle quali aveva fondato la sua estetica. Arrivati su, lungo la scalinata di legno dagli ampi gradini ispirata al Palladio, una bacheca semispoglia avverte che la divisa da Primo Ministro della Corte di Weimar è al restauro.
Lo studio di Goethe nella Casa Dwelling
a Frauenplan

Resta l?ampio mantello da viaggio di loden verde col bavero di velluto e il cappellone a tuba. Come simbolo può bastare. Siamo infatti nella casa di un viaggiatore, di un letterato sempre pronto a salire in carrozza con la sua borsa di pelle di tasso, a costo di lasciare indietro una parte di sé, per conoscerne un?altra, come quando ?fuggì in Italia, nel 1796, e ci restò due anni. Nella sua casa sono rimasti tremila libri, ma anche pezzi di lava raccolti sull?Etna. Una collezione di atlanti. Un?altra di fossili. Maioliche, gessi, medaglioni di divinità greche, opere d?arte che avvicinano la mente a uno ?spirito del mondo? lontano e contiguo insieme. Segnali imperativi, come il colossale busto della ?Giunone Ludovisi ?, appoggiato allo stipite, nella sala di ricevimento del poeta-uomo di Stato. Sculture, dipinti, copie di metope, simboli dell?estetica neoclassica, la cui ?nobile semplicità e silenziosa grandezza? avevano trovato un appassionato teorico nell?archeologo Winckelmann. Nella sala di Giunone non manca il pianoforte a coda davanti al quale si sedette più volte, fra il 1821 e il 1830, il giovane Mendelssohn, presentato a Goethe dal compositore berlinese Carl Friedrich Zelter. Arredato con molta semplicità nella parte posteriore della casa, lo studio di Goethe si presenta com?era al momento della sua morte. La penna nel calamaio, il pavimento di legno opaco, le eleganti sedie col motivo della lira sullo schienale, un buffo cestino per la carta su un trespolo di vimini. Fa impressione pensare che qui, nella zona più appartata e luminosa, Goethe finì di scrivere ?Faust?, ?Ifigenia?, ?Egmont?. L?autobiografia dal titolo ?Poesia e Verità?.
La casa di Liszt
Infine, al di là di uno strettissimo corridoio, la camera da letto, il letto di abete rosso addossato alla parete, una sedia a sdraio, il pavimento di assi sconnesse. C?è solo lo stretto necessario, niente da mostrare agli ospiti. Piccola e buia, più che una camera da letto sembra una bottega, un?officina segreta. Dev?esserci, da qualche parte, il mantice che ha dato fiato a sogni e ossessioni, che ha dato un?anima e un profilo alle notti di Goethe. Simili tane grigiastre, senza confine, dentro la tana misurata della casa, sono forse i più sereni luoghi per morire, senza l?obbligo di contrastare o assecondare ancora gli sfarzi del mondo.

Goethe morì in quella tana nel 1832. A 83 anni, dopo aver terminato la seconda parte del ?Faust?, divisa in cinque atti e uscita postuma quell? anno stesso. Kafka, visitando la casa di Goethe nel 1912, registrò sottotraccia, con pudore, un?emozione forte:? Un immediato riconoscimento?una sensibile partecipazione di tutta la nostra vita precedente alle impressioni del momento?.


La casa di Schiller

Si possono completare visita e immedesimazione, dando un?occhiata alla sala rococò della Biblioteca della Duchessa Anna Amalia, in Piazza della Democrazia. Goethe ne fu il sovrintendente dal 1797 fino alla morte. Aprì al pubblico la collezione di libri, persuaso che attraverso un luogo simile si potesse accedere a quel ?grande capitale che, silenziosamente, produce interessi incalcolabili?. Chi vuole proseguire il viaggio (?Che cos?è viaggiare? Viaggiare è vita gaia?, diceva lui) sappia che è tornata libera e gonfia di soste, nella nuova Germania, la ?Strada di Goethe? : da Francoforte (casa natale) a Offenbach (dove passò un?estate assieme alla fidanzata, Lili Schonemann), da Lipsia (?la piccola Parigi?) a Dresda, della cui pinacoteca fu così entusiasta da lasciare la sua firma ariosa sul libro dei visitatori.


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