Testo e Foto di Pamela McCourt Francescone
Quando suonano i rintocchi per la prima messa nella Chiesa della Navidad, un magnifico edificio con due alte torri risalente al 17° secolo che sorge sulla piazza principale di Becal, accanto ad una fontana moderna con cinque grandi sombreri che non lascia dubbi sulla vocazione della piccola cittadina che dista 85 chilometri dalla capitale del Campeche, Ramona Cazares Cauich è già al lavoro.
Si è alzata prima dell?alba e, dopo aver preparato una colazione di panuchos, i panini tipici della zona, e fagioli per i suoi due figli, ha attraversato la strada e, scendendo una decina di ripidi gradini, ha raggiunto il suo posto di lavoro. Una fresca grotta scavata nella pietra calcare appartenente ad una sua sorella che, insieme ad altre due donne ed un uomo, sono già al lavoro. Sono i tessitori di Becal, gli artigiani che lavorano i cappelli di paglia che hanno reso celebre questa località, i famosi cappelli jipi becalenos o Calkini hats dal nome della cittadina vicina a Becal dove sorge un antico monastero che risale al 16° secolo ed è dedicato a San Luigi di Tolosa.
Jipijapa (si pronuncia hepehapa) è una cittadina in Ecuador dove la produzione di cappelli di paglia ha avuto origine nel 19° secolo, proprio per fornire copricapi ai lavoratori che stavano allora costruendo il canale di Panama: ecco perchè in inglese si chiamano Panamas. Ma c?è chi sostiene che il cappello di paglia risalga addirittura al 16° secolo e che furono gli Inca i primi ad usare le fibre di una pianta chiamata toquilla per fare copricapi che li proteggessero dal sole. E si legge che nel 1898 il governo americano ordinò 50,000 sombrero de paja toquilla per le truppe in partenza per il fronte caraibico durante la Guerra Americana-Spagnola. La produzione del sombrero ebbe inizio in Messico nel 1859 quando una famiglia locale introdusse nella regione del Campeche una palma nana dal vicino Guatemala – chiamata appunto jipi o huano – dalla quale si poteva ricavare la fibra per la produzione di cappelli. Oggi Becal e Jipijapa lavorano in piena sintonia, scambiando nuove tendenze e collaborando per perfezionare sempre di più questa antica e raffinata arte.
Durante l?epoca coloniale Becal era l?ultimo baluardo del Camino Real, l?arteria commerciale dei colonizzatori spagnoli nello stato del Campeche, e Becal era la sede del cosiddetto capitan a guerra de camino real. Oggi ci sono circa 2.000 grotte a Becal, quasi ogni casa ne ha una, alcune naturali ed altre scavate nella roccia. La lavorazione dei cappelli avviene in questi luoghi freschi ed umidi che mantengono flessibili le fibre che sopraterra, dato le temperature estreme in questa parte interna della penisola dello Yucatan, diventerebbero frangibili, spezzandosi e sfaldandosi.
Quando arrivano a Becal le fronde fresche delle palme vengono tagliate in tante lunghe strisce, di vari spessori. Queste strisce vengono poi appese al sole dove si seccano e scoloriscono fino a raggiungere quel tipico colore di pallidissima paglia con sfumature perlate e luminose che contraddistingue i famosi cappelli. Mentre per ottenere gli allegri colori oggi di moda vengono usate tinture naturali. Dai fili più sottili, che non sono più larghi di un filo di seta, vengono tessuti i cappelli più pregiati, che si possono piegare ed infilare in tasca. Data la loro fittissima trama sono impermeabili. E sono quelli che chiaramente costano di più.
La lavorazione del cappello inizia dalla calotta e il cerchio cresce in diametro man mano che i lunghi filamenti di fibra vengono tessuti da mani abili e veloci. Per produrre un cappello di grana media ci vogliono due o tre giorni, per uno ultra fino anche tre mesi. Un lavoro di grande pazienza anche per questi artigiani specializzati. Oggi i cappelli vengono prodotti in una vasta gamma di colori e stili, e la produzione comprende anche borse, porta chiavi, scatole, portamonete ed altri oggetti ed accessori.