GIOVANNA LA VECCHIA
Ho conosciuto, oltre un anno fa, prima i quadri di Silvia Dayan e poi lei, argentina, di famiglia ebraica, dalle radici siriane, cittadina del mondo da vent?anni in Italia. Ho conosciuto il suo colore, le trasparenze, il segno, la forma, la materia: il quadro mi rappresentava un mondo che nascondeva un altro mondo, quello che ognuno di noi si tiene ben stretto nel profondo dell?anima.
L?opera si chiama ?Espiral de vida?, una donna senza volto, senza età. Nello studio di Silvia ho conosciuto tutte le sue donne, moltissime donne, donne color cannella, poi rosse, e viola, azzurre, bianche, donne dappertutto, sfumate, splendide combinazioni di umanità e vita. Madonne rinascimentali, veneri botticelliane, maye desnude, sovrane velaschiane, donne dai volti eterei, dalla pelle lunare, dai lineamenti aristocratici. Figure che sembrano venire da un mondo lontano e misterioso e posarsi sopra la terra senza confondersi con le altre.
Sul suo terrazzo ad Ostia mi accoglie, a piedi nudi, con un sorriso, chiamandomi ?Mi Amor!? e mi concede un?intervista, col garbo e l?incanto di sempre, per raccontarmi le sue ultime creazioni in mostra al Grand Hotel Villa d?Este di Cernobbio ? Lago di Como ? dal 2 al 14 agosto.
- Chi sono le donne di Silvia Dayan?
Sono nata e cresciuta in una famiglia e in un ambiente al femminile: sette sorelle, mia mamma e tutto il personale di servizio. L?universo femminile è quello che meglio conosco e meglio posso esprimere e raccontare. Anche le mie allucinazioni erano al femminile. A lungo prima di addormentarmi ero perseguitata dalla sensazione di vedere, con insistenza ossessiva, delle ombre umane dai contorni femminili. Dipingere le mie donne mi ha offerto la possibilità di esorcizzare questi morbosi percorsi mentali. Dipingere volti di donna mi ha dato la possibilità di ritrovare mia madre, di raccontarla e di presentarla in tutte le molteplici sfaccettature che l?hanno caratterizzata. L?amore per lei negli anni è diventato tenerezza, rievocazione struggente di bellezza, di grazia, di femminilità. Da lei la libertà di essere se stessi, di decidere, di esprimersi. Di lei, della sua grazia, del fascino avvolgente, dell?eleganza, della sensualità da batticuore parlano tutte le donne dei miei dipinti. E? rivolto al femminile l?intero mondo che delineo nei miei quadri. Dipingo forme femminili anche quando ho di fronte un uomo. Così è accaduto perfino con mio padre.
La pittura mi toglie la disperazione dei miei ricordi, del mio vissuto, aggiunge gioia a quel mondo femminile che ho ben compreso e a quello maschile che ho imparato a conoscere.
- Qualcuno ha scritto che qualche volta si è tentati di credere che l?autentico ritratto di se stessi l?abbiamo nascosto da qualche parte, dov?è il ritratto di Silvia Dayan?
Non è nascosto, di sicuro. Nessuno dei miei quadri nasconde il mio volto, sono altre le cose che voglio raccontare e che vorrei esprimere attraverso la pittura. Il mio volto è nei miei giorni, in ogni giorno, ho sempre una espressione di orgoglio, fiera e felice per tutto ciò che fa parte della mia vita, non c?è nulla di cui non sia orgogliosa. Cammino tra la gente con la curiosità di conoscere, di sentire storie di vita, per sentire battere ogni cuore potendone raccogliere l?incanto. E? argentino il mio tuffarmi nel presente, vivendo alla giornata, cogliendo l?attimo fuggente. Domani è un altro giorno?Ho tre figli, Raquel, Moises, David, ognuno in un continente diverso: Argentina, Australia, Israele. Ho una passione sconfinata per loro, per la vita, per la mia terra. Sono innamorata di tutto e di tutti. Vivo da vent?anni in Italia, da quando mi sono innamorata di Franco, lo guardo ogni mattina con lo stesso sguardo del primo giorno, come fossi appena scena dal volo Buenos Aires-Roma. In realtà vivo tutte le emozioni con lo stesso entusiasmo e la stessa passione del primo attimo, in questo non ho mai conosciuto l?effetto del tempo che passa e, pare, porti con sé quello che viene definito ?equilibrio? ma che la gente vive come ?abitudine?. Non sono ?equilibrata? grazie a Dio.
- Cos?è per lei il dolore?
Il dolore per me è la guerra, la violenza, la miseria umana, la ferocia, il massacro. La classificazione che condiziona i nostri comportamenti e le valutazioni. Mi fa male quando la gente mi crede cieca, sorda e si comporta di conseguenza, mettendo in atto gesti che rientrano nel modo di fare tipico dei bambini, che non hanno ancora sviluppato gli strumenti giusti per ascoltare, per vedere.
E? l?offesa più grande verso l?essere umano. Le guerre nascono da questo: classificazione e sottovalutazione.
A volte la gente parla con me e sembra non rendersi conto che io ho tutti i sensi che funzionano.
- Perché ha lasciato l?Argentina?
L?incubo del terrorismo, dei rapimenti degli anni Settanta, la reazione brutale della dittatura militare con le migliaia e migliaia di desaparecidos tra gli oppositori politici dei generali. Tutto questo mi ha resa dura nei confronti della mia terra, non potevo più vedere, non potevo più accettare.
Ho perso allora grandi amici, compagni di strada. Così mi sono trasferita prima in Brasile poi in Italia. Ma tutto ciò che ho dietro di me lo porto con me.
- Che tipo di educazione ha ricevuto?
Pratica, sicuramente. Puntare l?attenzione su alcuni pericoli reali, parlare chiaramente, essere diretti, il male del nostro secolo è non chiamare le cose col proprio nome. Il rispetto dell?essere umano, la disciplina, le regole, tutto però vissuto con grandissima libertà, senza restrizioni, divieti assoluti, punizioni. Ho imparato il rispetto, il dovere, proprio perché non mi è stato imposto, ma mi è stato fatto comprendere con amore, tanto amore.
Da piccola la mia natura era molto selvaggia. Mio padre, sorprendendo tutti, diceva ?Lei è una duchessa?. Era così importante il rispetto che nutriva per me, il suo messaggio educativo, che alla fine l?ho compreso a tal punto da fare ciò che lui mi chiedeva senza difficoltà né contrapposizione. Era il suo sguardo e la sua approvazione la mia vera ricompensa. La trasgressione mi piaceva e mio padre questo lo comprendeva, comprendeva bene la mia natura. La trasgressione porta sempre un senso di angoscia, lui trasformava questo mio stato d?animo in riso. Mi distraeva invece di punirmi. Mio padre mi ha insegnato l?amore per me stessa e che non occorre castigarsi, autopunirsi, bisogna distrarsi e astrarsi, guardare le cose dall?alto, tutto appare più piccolo, le cose brutte e le cose belle, il male e il bene, il giusto e l?errore, tutto si trasforma in equilibrio.
- Ad un primo impatto la sua arte senza contorni, senza tratti netti può disorientare, non teme questo?
Si, è vero, è accaduto a molti visitatori. La smaterializzazione della materia, delle figure, può disorientare, occorre fermarsi e fare propria la sensazione, l?emozione, la percezione dell?opera. Nell?ampia galleria di personaggi che fanno parte della mia produzione, dove tutto è diverso e sottratto, ci si rende conto che tutto è anche ininterrotto, coerente, misteriosamente affine. Così ha parlato del mio lavoro Duccio Trombadori, mi ritrovo appieno nelle sue parole. Il mio procedere è caratterizzato da una classica compostezza che invita ad osare, con l?illusione, con l?immaginazione, con l?interpretazione. Sanno di polvere i miei quadri, polvere che racconta una storia, polvere che non si sa da dove venga, dal cielo? Dalla terra? Da un deserto? Sono superfici da scorticare le mie, prima con gli occhi, poi con l?anima, fino a distinguere le immagini possibili raccontate da forme in divenire e da colori mutanti. Non c?è segno che definisca una sola immagine, un colore che non sconfini in altre sfumature, in altre tinte, perchè non c?è vita che non racconti altre vite, non c?è oscurità che non abbia luce, la sua e quella immaginata.
- Cos?è la solitudine per Silvia Dayan?
Una esigenza irrinunciabile. Non ho mai pensato alla solitudine come un momento doloroso, credo sia un dovere, ancor prima che un piacere. Un momento di crescita fondamentale. Davanti a noi stessi, non c?è distrazione alcuna o pretesto che possa indurci a non essere sinceri. Siamo come esseri puri, una sorta di rinascita incontaminata, torniamo all?origine, è un momento di straordinaria bellezza, come può far paura tutto ciò? Spesso mi capita di provare emozioni molto forti, quello è il momento in assoluto in cui sento l?esigenza di una profonda e prolungata solitudine. Quando hai la fortuna che qualcosa ti prende, fermati lì e non ti muovere. Non puoi vedere altro, non devi vedere altro. Quando hai compreso, recepito, assimilato ciò che ti ha toccato così profondamente, quando hai fatto completamente tua quella emozione e quella realtà, allora puoi andare avanti.
Le persone ?soffrono di solitudine? e sentono l?esigenza di parlare di tutto e con tutti. Questo fa perdere l?incanto, la magia di noi stessi, e massifica, uniforma. E? importante quello che io definisco ?il tempo dell?appartenenza?, fare proprie le esperienze per poi, condividerle. Non mi piace, non approvo questa promiscuità di momenti che devono essere propri. Il vero male è il vuoto dentro di noi, quella è la vera, forse l?unica forma di solitudine.
- Ai suoi quadri lei abbina sempre musica e poesia. Cosa le da questo insieme?
L?assoluta pienezza. Perché un pittore non è solo un pittore e lo stesso vale per il musicista, il poeta, lo scrittore. Non esiste una sola forma d?arte in nessun artista. Ecco allora che per perfezionare quella in cui si è maggiormente portati si chiede aiuto alle altre forme che giacciono in noi sonnecchiando ed esplodono nel momento in cui le si invoca per dare vita alla perfezione, corrono in aiuto per dare maggiore forza e vigore e splendore. Tornando al discorso sulla solitudine, come ci si può sentire soli davanti ad una poesia di Borges, un brano di Piazzolla, un dipinto di Goya, come è possibile, mi chiedo. Siamo fatti di mille e mille frammenti, noi esseri umani, siamo bambini e adulti, folli, coraggiosi, ambiziosi, irrequieti. Conosciamo il delirio dell?amore, l?intelligenza, l?ingegno, la ricchezza della memoria, la tenacia, il dubbio, il senso dell?avventura. Siamo ricchi, ricchi di tutto. La forza dei ricordi, la fierezza, l?orgoglio, la possibilità di rinascere ogni giorno attraverso la nostra arte, quella degli altri. E non parlo di arte per significare una dote particolare, un dono speciale, un privilegio. Ognuno di noi ha in sé le qualità e le virtù che lo rendono artista. Anche la semplicità è un?arte. E soprattutto impariamo a guardare al futuro come ad una promessa che contiene tutto ciò che non ci è ancora accaduto. Sono meravigliose parole che ho rubato ad Angeles Mastretta. Le chiedo, siamo tutto ciò, dunque, come si può avvertire il senso di solitudine?
- Molte le sue mostre dal 1986 ad oggi, in tutto il mondo: a Punta del Este, Mosca, Gerusalemme, Buenos Aires, al Complesso del Vittoriano di Roma, Grenoble. Cosa significa per lei esporre la sua opera al pubblico?
In tutte le mostre accade qualcosa di strano, succede che appaiono le persone giuste. Con il termine ?giuste? intendo quelle persone che non solo comprendono il mio messaggio e il mio linguaggio, ma addirittura comprendono qualcosa della mia opera che io ancora non ho compreso. Così io cresco, la mia opera matura, la mia ricerca diventa un vero e proprio studio, gli stimoli aumentano e la mia capacità di vedere oltre e altro si espande. Sono stata molto fortunata negli incontri. Durante le mostre ho avuto modo di individuare gli occhi giusti, gli animi giusti, la consapevolezza dell?altro e la coscienza piena.
- Duccio Trombadori ha scritto di lei nello straordinario saggio contenuto nel catalogo della mostra: ?Silvia dipinge i suoi sogni invitando anche chi osserva ad attraversarli come al cospetto di uno scenario dal vero?. Un incontro molto intenso quello del critico con i suoi quadri.
Si, straordinariamente intenso. Ho osservato il suo modo di guardare i miei quadri, ho ascoltato il suo interminabile silenzio mentre si muoveva con grande disinvoltura lungo le pareti piene delle mie opere. Aspettavo le sue parole, era un momento importante per me, significativo, un momento che mi avrebbe dato risposte che cercavo nell?ultimo periodo soprattutto. Ha compreso il movimento dei miei colori, l?energia catturata dalla luce e impressa sulla tela, il motivo dei passaggi di toni a contrasto non casuale, la musicalità, l?incontro di mano e mente. Ha definito il dipinto ?Si todos los hombres?? mirabile, per come rappresenta ?il valore della vita nella sua illustre gara contro il tempo?. Il significato di quel velo sottile di vernice bianca raggrumata sui volti delle nove fanciulle lo ha colto lui meglio di me che non avevo compreso, nel momento della sua realizzazione, ciò che realmente volevo dire. E? stato un incontro importante che ha dato maggiore certezza a tutto il mio lavoro.
- Che cosa vorrebbe per il suo futuro?
L?armonia, la mia vita come una retta ascendente verso l?infinito, come dice Vinicius De Moraes. Una musica che cominci senza inizio e finisca senza fine?