CLOTILDE PATERNOSTRO
La grande mostra Ligabue come Van Gogh – Arte, mito, leggenda, presentata ad Arona a Villa Ponti ( curata da Raffaele De Grada ? fino al 27 giugno 2004) , vuol essere la esemplificazione dell?arte di Ligabue, il simbolo dell?arte naif in Italia – in un raffronto con l?espressione di Van Gogh. Tuttavia sarà bene specificare cosa vada inteso per naif. Naif sta a significare “ingenuo, primitivo”; un?arte de non confondere con l?arte popolare o il folclore; fondamentali canoni sono: una narrativa di sapore primitivo, un naturalismo idilliaco, colori vistosi, misticismo surreale. Pur se differenti, Van Gogh e Ligabue hanno, in effetti, dei valori in comune, tuttavia sarà opportuno aggiungere che Van Gogh mai fu naif. E? pur vero che entrambi gli artisti esprimono una narrativa di sapore “primitivo”, ma pur negli accostamenti delle formule pittoriche da entrambi espresse, Ligabue rimane un naif, Van Gogh no. Antonio Ligabue ( Zurigo 1899 ? Gualtieri – Reggio Emilia 1965) è veramente “ingenuo” nella sua espressione pittorica; Van Gogh invece viene da altra scuola, è simbolismo il suo, vuole la semplificazione della forma derivatagli da Gauguin, approfondisce lo studio della luce, acuisce la cromia dei colori puri; in senso lato, fu una pittura colta la sua, per Ligabue no, tutto è solo istinto, ché in altra maniera mai avrebbe saputo dipingere. Le verosimiglianze esistono ( anche la loro stessa vicenda umana ha creato il mito, entrambi malati di mente) ma pur nei colori urlati e nella potente energia dei loro stessi dipinti, essi rimangono, a nostro avviso, figure distinte e separate.
Muta totalmente, ad esempio, la panoramica dei soggetti. In Ligabue dominano gli animali, domestici e feroci, feroci soprattutto; la tigre e il leone sono figure preminenti; le più forti del mondo animale, forse un traslato, un?identificazione necessaria pur se inconscia. L?uomo faceva paura a Ligabue, non l?animale, suo amico. Altro tema: i fiori: tanti i fiori dipinti da Ligabue; amava la natura che non vedeva nemica rifuggiva l?uomo invece scegliendo I? isolamento. L?ambiente è la foresta immaginaria che tanto rammenta i paesaggi contadini della vita dell?artista – era vissuto in campagna, in Svizzera per circa vent?anni; poi, la valle padana e il Po furono il suo mondo. Alieno mentalmente ebbe il dono del disegno e della pittura, del colore soprattutto e del saper rendere verosimile la forma, dono splendido e unica consolazione di una vita desolata; malato da sempre, la pittura fu la sua ancora di sopravvivenza ( anche se non di salvezza). Irrimediabilmente malato, morì in povertà assoluta all?ospedale di Gualtieri nel 1965.
Ma soffermiamoci sulla figura di quest?uomo, artista primitivo e grande. Un?arte, la sua, istintiva e sincera resa nella figura dei tanti e tanti animali – gli animali, è stato detto, furono la famiglia che mai aveva avuto, animali ideati in atteggiamenti cruenti dalle fauci spalancate e i denti aguzzi o visti in atteggiamenti terrifici ( l?atto del pasto, terribilmente veristico, crudele) e fu grande il suo dolore e la paura, l?infinita tristezza, ma dolore, paura, tristezza mai vengono raffigurate bensì trasformate in un mondo irreale, fantastico e, pur se cruento, felice. Mentalmente anomalo, tuttavia mai si rivela tale follia nei suoi dipinti. Dipingeva per istinto identificandosi spesso coi suoi personaggi ( dipingendo il leone, ad esempio, ruggiva) ma era razionalmente perfetta nella resa del quadro.
La pazzia vissuta nella vita si trasformava in bellezza nei suoi dipinti assolutamente coerenti nelle dimensioni, nella composizione d?insieme, nella brillantezza dei colori; un dualismo che si unificava solo nell?atto del dipingere; un fenomeno misterioso. Se la follia non è un mistero, lo è questo trasferire sulla tela l?istinto primordiale della sopravvivenza. Se negata fu la vita a Ligabue, non lo fa la pittura, fattore straordinario questo, che suscita stupore. Una vita, quindi, interamente vissuta nell?anomalia e nell?incoerenza; poi, il miracolo dell?arte. Ma l?arte sempre è un miracolo. E il “folle” Ligabue ben lo dimostra. Tra i quadri più significativi: Leopardo con iena e antilope (1943-44), Il re della foresta (l959/60), Traversata della Siberia (1948-50), Autoritratto (1954-55), Leopardo con serpente (l955-56); Testa di tigre (1955-56), e poi galli, conigli, cavalli, aquile e….fiori, coloratissimi, solari.
La mostra di Arona si completa con una ricca sequenza di bronzi, terracotte e una vastissima raccolta di disegni. Si ripete nelle piccole sculture e nei disegni, la stessa gamma di animali raffigurati nei dipinti, creature dei campi e delle foreste. Tra tutti, colpisce Lupo siberiano (bronzo 1952) impressionante opera dove tutta la violenza della natura e la sua forza, furia, sono racchiuse in questa sagoma perfetta ringhiante e terribile.
Non l?uomo lupo ma uomo senza scampo, Ligabue; urlava il suo dolore nella scelta delle figure le più terrifiche. Aggredire il dolore e la paura, questo chiedeva alla sua pittura e la pittura dava a lui pace. E senza saper né volerlo essere, fu grande pittore. Creatura infelicissima ha creato capolavori, controfigura di sé e della sua anima ferita. La mostra di Villa Ponti ne celebra il genio chiedendo. forse amorosa pietà per la sua vita.