LAURA PATERNO
L?Accademia d?Ungheria di Roma ospita la mostra di Istvàn Harasztÿ, artista originale e ironico. In principio costruttore di macchinari, compone le prime opere nel periodo in cui consegue il titolo professionale di montatore esperto. Da questa formazione ricava la conoscenza dei materiali, sapendoli trovare, comprare, lavorare: le sue prime sculture sono in rame, acciaio e ottone. Tutta la sua produzione sarà una intelligente ironia delle macchine del progresso, che ci circondano senza tregua: le sue macchine, invece, sono pendoli e sfere magnetiche, ingranaggi e meccanismi che non hanno senso, oltre al loro volteggiare estetico e armonioso. Nel silenzio delle sale, molte delle sue opere sono “please touch”, non bellezze da ammirare ma quasi giochi da giocare, chiamate anche, per questo, “sculture a mano”.
Ci sono poi le sculture “autocinetiche”, dove il moto delle sfere e dei manichini è impresso dall?elettricità. Oltre al metallo anche il plexiglass è utilizzato ed esplorato in tutte le sue potenzialità, per la facilità di lavorazione, la trasparenza e gli effetti ottici che ne derivano.
Nella sua carriera non sono mancate le opere in cui si esprime un dissenso politico, ma sempre con un approccio ironico e tagliente. Chiamato a spiegare una sua opera dei primi anni ?80, detta “Lo snocciolatore di fichi”, disse che le palline che rotolavano e scivolavano erano la rappresentazione della carriera dei funzionari comunisti.
Catene e Candele del 1987 è una scultura mobile orizzontale, composta da catene, candele e croci, in memoria delle persone morte nel tentativo di scavalcare il Muro di Berlino.
Istvàn Harasztÿ conferma di aver inventato e costruito meccanismi anche prima di conoscere il significato della parola “arte”. Oggi continua a farlo “perché ho conosciuto i molteplici sentieri dell?arte e voglio aggiungere a questa qualcosa”.
Istvàn Harasztÿ
Fino al 22 maggio
Accademia d?Ungheria in Roma, Palazzo Falconieri ?
Via Giulia 1, Roma.
Tel. 06.6889671